Dispersione nei diffusori

Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda baby rattle » 30 gen 2009, 13:09

sponsor ha scritto:
uffa! ha scritto:...
Fatto salvo il necessario controllo sulla generazione del segnale e la successiva emissione in ambiente, pensavo che se il suono diretto dopo averci investito, venisse in buona parte assorbito, qualche passo in avanti, lo si potesse fare.


Usare la parola DOPO temo possa essere fuorviante.
Imposterei il ragionamento in tutt'altro modo: cominciamo col dire che ci troviamo nella parte non invariante del sistema, la parte diffusore-ambiente-ascoltatore. Per cui fare riferimento solo alla realtà fisica del campo sonoro immesso in un ambiente confinato non dice tutto quello che occorre sapere.
Infatti in questa benedetta stanza avvengono DUE eventi dal punto di vita percettivo (sono pigro e riprendo quanto da me scritto in un altro forum):
Evento num. 1: due sorgenti (i diffusori) immettono suoni in ambiente. Noi ci troviamo in quell'ambiente, per cui siamo in grado di ricostruire perfettamente la provenienza dei suoni e tutto il corollario di eventi (riflessioni etc.) che ricostruiscono percettivamente la realtà del luogo in cui ci troviamo. Questo evento, che è l'unico che ha una sua connotazione "fisica", NON CI INTERESSA, anzi DISTURBA. E' RUMORE. Paradossalmente questo è l'unico evento che viene "curato" e studiato dalla fisica acustica.
Evento num. 2: siamo sempre in quell'ambiente ad ascoltare ma percepiamo un'altra realtà spazio temporale, che viene CREATA unicamente dai nostri meccanismi percettivi e che NON ESISTE come tale in quel luogo; questa realtà viene portata dal campo sonoro immesso, ed è legata al luogo di ripresa. Questa realtà "altra" contiene, unica e sola, l'integrità del messaggio sonoro. Percepiamo spazi, tempi, colori, masse di orchestre o ensemble che sono un tutt'uno con l'evento musicale (anzi neanche un tutt'uno, SONO l'evento musicale e non ce ne sono altri al di fuori di questo).

L'evento che noi consideriamo "riproduzione fedele" e che i nostri sistemi tentano di replicare è il numero 2. Tuttavia l'evento numero 1 esiste (anzi, tutti i progettisti del mondo credono che sia l'unico!) e non può essere completamente "assorbito". Qui dico un'altra cosa: non DEVE essere completamente assorbito perchè porta le informazioni di congruenza vista-udito rispetto al fatto di trovarsi in QUELLA stanza. Quindi l'evento 1 serve anch'esso, ma purtroppo di norma và ad interferire con l'evento 2.
Cosa si fà? Occorrerebbe individuare e mettere in campo le tecnologie atte a rendere percettivamente ortogonali i due eventi. Cosa intendo per "percettivamente ortogonali"? Intendo: lasciare che l'evento 1 esista, sia percepito, ma non vada ad inficiare la percezione dell'evento 2, o perlomeno lo faccia il meno possibile. Insomma che l'evento 1 si comporti come il fruscio di un giradischi, un rumore non correlato rispetto al segnale, che ci suggerisca che siamo effettivamente nella stanza dove stiamo, ma che insieme si mantenga percettivamente distinto dall'evento numero 2 che stà riaccadendo proprio li davanti a noi. Faccio notare che stiamo ragionando nel campo percettivo, della non invarianza, e che dal punto di vista della fisica acustica nella stanza esistono delle sorgenti attive che emettono un campo di onde sonore confinato, punto e basta.
Si può fare tale ortogonalizzazione dei due eventi percepiti? Si. Ma prima di dire come, aspetto reazioni.




GRANDIOSO!

Io però chiamerei evento numero uno quello già accaduto e numero due quello prodotto nel secondo ambiente.

L'ortogonalizzazione, ho visto qualche obiezione nei post a seguire, è un concetto che bisognerà assorbire molto bene e che ha diverse accezioni e diversa esprimibilità, senza ortogonalizzazione, termine originale di sponsor, e concetti collegati non si va da nessuna parte, ortogonalizzazione sono ad esempio tutti i TRUCCHI messi in atto dall'ascoltatore e buona parte dell'attenzione differenziale, si deve andare ben oltre l'accezione fisico-matematica.

Alè!

Il feedback è un pizzicotto, se dici tutto subito facciamo fagotto!
.

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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda sponsor » 30 gen 2009, 17:51

Luc1gnol0 ha scritto:..
Solo che dire che qualcosa sia ortogonalizzabile, ed il mostrare come¹ si possa ortogonalizzare un "segnale" (e non invariante, se non ho frainteso!), un'informazione (per riprendere della teoria di Shannon un concetto, anche se in senso lato) rispetto ad un'altra, per le mie capacità (limitate) non sono pianamente consequenziali.


Le tue critiche sono fondate, il mio uso del termine "ortogonalizzazione" è da intendersi come una immagine intuitiva di quello che accade, immagine che per quanto mi riguarda trovo molto suggestiva. Oltretutto lo utilizzo con riferimento al fenomeno percettivo, non al fenomeno fisico (campo sonoro propriamente detto). Il fenomeno fisico è uno, c'è una stanza con un campo sonoro confinato. Il distinguere i "due eventi" (mi scuso con baby rattle se continuo ad utilizzare la dizione evento uno e due come l'ho introdotta!) è già essere in un ambito percettivo, non invariante. Occorre avere ben chiaro in testa che quello che ho chiamato evento 2 non ha alcuna realtà fisica autonoma, siamo già in ambito percettivo. L'evento due esiste solo in ambito percettivo. Questa è la cosa forse più difficile per me da esprimere e rendere chiara, magari ci torniamo.
Comunque chiarisco ancora qualcos'altro sull'origine dell'uso del termine "ortogonalizzazione". Deriva dall'ascolto del vinile. Tutti abbiamo fatto esperienza di come i disturbi del vinile (tic toc, fruscii) siano in genere (a meno di casi patologici) niente affatto "disturbanti". Anzi mi è capitato una volta di ascoltare un sistema in cui accadeva una cosa ancora più stupefacente: tali disturbi erano come "proiettati" su un invisibile schermo a filo dei due diffusori, mentre dietro si formava lo spazio tempo del suono musicale. Insomma era percepibile che il suono e i disturbi appartenevano a due eventi diversi, direi a due spazi-tempi diversi. Come in effetti è. Quindi alla percezione le due cose risultavano ben separate. Dal punto di vista matematico, con riferimento NON a quanto percepito a seguito dei suoni immessi in ambiente ma semplicemente al segnale in uscita dal pre, possiamo sempre considerare il rumore del vinile come il classico rumore gaussiano incorrelato rispetto al segnale originario. Pertanto le due cose che erano percettivamente distinte risultavano anche (nella parte invariante del sistema) incorrelate a livello di segnali. L'integrale di correlazione calcolato per "tau" =0 non è altro che il prodotto scalare dei due segnali, per cui se la correlazione è nulla si potrà dire che i due segnali sono matematicamente ortogonali.
Da qui la suggestione: due segnali matematicamente ortogonali venivano riprodotti in modo tale che non "disturbavano" la vicendevole percezione, come se appartenessero a due spazi-tempi diversi. Traslando questa immagine ai "due eventi", e parlando stavolta SOLO in termini osservazionali e percettivi, quindi sulla part enon invariante, uso il medesimo termine (ortogonalizzare) per dire che dovremmo rendere i due eventi "percettivamente" ortogonali, senza annullare nessuno dei due (per quanto detto nell'altro post). Non sò se sono chiaro, forse no.
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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda sponsor » 30 gen 2009, 19:26

uffa! ha scritto:
...
Il convivere dei due eventi sonori da te citati è un incontrovertibile dato di fatto, facilmente rilevabile nell'ambito di indagine. Far sparire l'elemento visivo è facile, si chiudono gli occhi, si spegne la luce, e la percezione visiva del secondo ambiente sparisce, non basta, purtroppo. Se il messaggio sonoro è preservato nelle sue caratteristiche peculiari ed immesso correttamente in ambiente, che qualcosa non torni è evidente. Mi pare possibile affermare che il solo preservare le caratteristiche sia gran parte del lavoro.

Se facciamo un parallelo con il caso della sala cinematografica, una volta sparita la parte visiva ( facile e possibile), solo il riverbero del secondo ambiente può inficiare la corretta percezione assieme all'indirizzo della nostra attenzione. Ora, se è scontato che non lo si possa eliminare del tutto per non incorrere in problematiche legate alla nostra fisiologicità, possiamo (dobbiamo?) concentrarci sul come mitigarne la portata ed a indirizzare meglio la nostra attenzione, in modo da rendere la percezione del primo evento facilitata.

Qui mi fermo per dar spazio alle repliche.


Se ho compreso, tu dici che se uno chiude gli occhi "dimentica" del luogo in cui si trova per cui una delle possibili incongruenze tra i due eventi dovrebbe essere resa minima o ininfluente, ma che purtroppo questo non basta. Certo l'ascolto in condizioni buie o semibuie ha una sua ragion d'essere, facilmente sperimentabile, ma su questo sono in grado di dire poco: per semplificare tenderei a considerare la percezione come una "black box", un processo pressochè ignoto che porta a formulare dei giudizi di valore (questi perfettamente noti ed in una certa misura oggettivabili tramite l'individuazione di criteri di osservazione e di giudizio condivisi). In realtà credo che nessuno abbia la minima idea del perchè due segnali scalari, a loro volta variamente originati da un campo sonoro, registrati e re-immessi in un ambiente domestico tramite una coppia di diffusori, siano in grado, in determinate condizioni, di ri-creare un più o meno credibile evento sonoro (preferisco la dizione di "storia spazio temporale") avvenuto in un altro spazio e in un altro tempo. Ci troviamo di fronte alla vera "macchina del tempo", ed è chiaro che il lavoro elaborativo del cervello che ci deve essere a monte del nostro giudizio di valore è di una complessità inimmaginabile, e su questo non mi sento di fare alcuna ipotesi.
Più modestamente, propongo di partire dall'assunzione che è possibile in determinate circostanze ri-percepire una storia spazio-temporale avvenuta in un altro luogo e in un altro tempo. La questione è proprio cosa fare per facilitare questo compito complesso al nostro cervello.
Facciamo allora l'ipotesi di avere un diffusore perfetto, che emette onde sferiche, di rigidezza dinamica infinita in banda di lavoro, ove si muovano solo le membrane degli altoparlanti, etc. . E diciamo di voler ad esempio minimizzare l'interferenza del campo sonoro con il locale di ascolto. La prima idea che potrebbe venire in mente è di mettere il tutto in una camera anecoica: realizziamo così la condizione di annullare (in realtà minimizzare) riflessioni e rifrazioni delle onde sonore emesse, ed in una certa misura di annullare del tutto la stanza. Cosa succede? L'esperienza ci dice che non è un set-up accettabile, proprio ai fini della percezione di quello che chiamavo "evento 2". I motivi che mi vengono in mente sono che in realtà la camera anecoica crea un'insanabile incoerenza tra il percepito dall'occhio (di trovarsi dentro una stanza) e il percepito dall'orecchio (assenza di riflessioni), per cui probabilmente (ipotesi) i meccanismi percettivi del cervello sono in qualche modo ingannati e messi fuori servizio. Ci potrebbe anche essere un altro motivo: dato che si sperimenta con camere ancoiche "reali", quindi mai perfettamente anecoiche, le pur "piccole" riflessioni e diffrazioni presenti sono sufficienti ad inficiare la percezione dell'evento 2. Comunque, al di là di queste ipotesi, il risultato certo è che in condizioni reali la camera anecoica non è adatta a realizzare un locale di ascolto. A questo punto torniamo all'assunto di partenza che era: facciamo in modo che gli eventi 1 e 2 si influenzino il meno possibile dal punto di vista percettivo, siano percepiti come appartenenti a due eventi spazio-temporali distinti che convivono senza disturbarsi... troppo (quello che intendevo appunto per "ortogonalizzazione"). Ma come? Scusassero il tentativo di fare un pò di maieutica... che credo possa servire a tutti.
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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda baby rattle » 30 gen 2009, 19:31

sponsor ha scritto:
Luc1gnol0 ha scritto:..
Solo che dire che qualcosa sia ortogonalizzabile, ed il mostrare come¹ si possa ortogonalizzare un "segnale" (e non invariante, se non ho frainteso!), un'informazione (per riprendere della teoria di Shannon un concetto, anche se in senso lato) rispetto ad un'altra, per le mie capacità (limitate) non sono pianamente consequenziali.


Le tue critiche sono fondate, il mio uso del termine "ortogonalizzazione" è da intendersi come una immagine intuitiva di quello che accade, immagine che per quanto mi riguarda trovo molto suggestiva. Oltretutto lo utilizzo con riferimento al fenomeno percettivo, non al fenomeno fisico (campo sonoro propriamente detto). Il fenomeno fisico è uno, c'è una stanza con un campo sonoro confinato. Il distinguere i "due eventi" (mi scuso con baby rattle se continuo ad utilizzare la dizione evento uno e due come l'ho introdotta!) è già essere in un ambito percettivo, non invariante. Occorre avere ben chiaro in testa che quello che ho chiamato evento 2 non ha alcuna realtà fisica autonoma, siamo già in ambito percettivo. L'evento due esiste solo in ambito percettivo. Questa è la cosa forse più difficile per me da esprimere e rendere chiara, magari ci torniamo.
Comunque chiarisco ancora qualcos'altro sull'origine dell'uso del termine "ortogonalizzazione". Deriva dall'ascolto del vinile. Tutti abbiamo fatto esperienza di come i disturbi del vinile (tic toc, fruscii) siano in genere (a meno di casi patologici) niente affatto "disturbanti". Anzi mi è capitato una volta di ascoltare un sistema in cui accadeva una cosa ancora più stupefacente: tali disturbi erano come "proiettati" su un invisibile schermo a filo dei due diffusori, mentre dietro si formava lo spazio tempo del suono musicale. Insomma era percepibile che il suono e i disturbi appartenevano a due eventi diversi, direi a due spazi-tempi diversi. Come in effetti è. Quindi alla percezione le due cose risultavano ben separate. Dal punto di vista matematico, con riferimento NON a quanto percepito a seguito dei suoni immessi in ambiente ma semplicemente al segnale in uscita dal pre, possiamo sempre considerare il rumore del vinile come il classico rumore gaussiano incorrelato rispetto al segnale originario. Pertanto le due cose che erano percettivamente distinte risultavano anche (nella parte invariante del sistema) incorrelate a livello di segnali. L'integrale di correlazione calcolato per "tau" =0 non è altro che il prodotto scalare dei due segnali, per cui se la correlazione è nulla si potrà dire che i due segnali sono matematicamente ortogonali.
Da qui la suggestione: due segnali matematicamente ortogonali venivano riprodotti in modo tale che non "disturbavano" la vicendevole percezione, come se appartenessero a due spazi-tempi diversi. Traslando questa immagine ai "due eventi", e parlando stavolta SOLO in termini osservazionali e percettivi, quindi sulla part enon invariante, uso il medesimo termine (ortogonalizzare) per dire che dovremmo rendere i due eventi "percettivamente" ortogonali, senza annullare nessuno dei due (per quanto detto nell'altro post). Non sò se sono chiaro, forse no.





I segnali avulsi, tic toc o rumore ambientale, stradale, sono per definizione ortogonalizzatio ortogonalizzabili a livello di percezione, i tic toc perchè non hanno uno spazio di esistenza i secondi perchè ne hanno uno assolutamente decorrelabile col suono riprodotto.

Bisognerebbe raccontare diverse esperienze osservazionali ma sarebbe troppo lungo, una sola, il suono delle campane in un impianto che non indicherò, insopportabile in una certa condizione di riproduzione perchè il cervello era sovraccaricato a decifrare il messaggio, diventò naturale e del tutto decorrelabile perchè il cervello poteva svolgere quella funzione di distinguere il suono riporodotto da quel suono naturale che giungeva dall'esterno.

Nessun runore avulso inficia le qualità del suono, il runore avulso può essere tolto dallla percezione praticamente al 100% e questo credo che sia esperienza comune.

L'attenzione differenziale, diretta volontariamente o in automatico per allenamento, in questo fa miracoli.

Vedi musicisti.
.

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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda baby rattle » 30 gen 2009, 19:51

La risposta è unica e ormai certa, si tratta di dare al cervello la possibilità di far congruire le due realtà, in grossa parte ortogonalizzandole, trattandole in parti separate, in brain multitaskig parallelo o seriale è cosa che ci appassionerà ipotizzare e magari scoprire (se ne è già discusso con sponsor)..

Torniamo all'esempio della multiripresa video; se si proiettassero contemporaneamente due riprese da posizioni opposte il cervello non potrebbe dire cosa sta accadendo, entrambe le seguenti affermazioni avrebbero uguale valenza: il soggetto si sposta da sinistra verso destra, il soggetto si sposta da destra verso sinistra oppure il soggetto si allontana, il soggetto si avvicina.

Se diamo al cervello il tempo di far prevalere una delle due tutto tornerebbe a congruire, si saprebbe che una è una ripresa per cui il soggetto si allontana e l'altra è quella in cui si avvicina.

Sbloccata l'incongruenza ( il trucco, l'arcano) entrambe potrebbero coesistere e forse per segnali non troppo complessi potrebbero anche coesistere.

Attenzione però, lo sblocco artificiale dell'incongruenza (ad es. play back) ci toglie l'incongruenza e la meraviglia ma l'esperienzalizzazione ci toglie anche il valore della realtà vera e ci consente l'accesso ad un ordine innaturale ed al caos che poi paghiamo in termine di capacità di percezione e di elaborazione ed in termini di emozionalità e di "tranquillità, di affidamento all'evento, alla realtà.

Nello specifico finchè non arriveremo a FIDARCI che quello che sta facendo l'impianto è corretto non ci sarà mai pace!
.

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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda AudioNaif » 2 feb 2009, 11:02

sponsor ha scritto:Le tue critiche sono fondate, il mio uso del termine "ortogonalizzazione" è da intendersi come una immagine intuitiva di quello che accade, immagine che per quanto mi riguarda trovo molto suggestiva. Oltretutto lo utilizzo con riferimento al fenomeno percettivo, non al fenomeno fisico (campo sonoro propriamente detto). Il fenomeno fisico è uno, c'è una stanza con un campo sonoro confinato. Il distinguere i "due eventi" (mi scuso con baby rattle se continuo ad utilizzare la dizione evento uno e due come l'ho introdotta!) è già essere in un ambito percettivo, non invariante. Occorre avere ben chiaro in testa che quello che ho chiamato evento 2 non ha alcuna realtà fisica autonoma, siamo già in ambito percettivo. L'evento due esiste solo in ambito percettivo. Questa è la cosa forse più difficile per me da esprimere e rendere chiara, magari ci torniamo.
Comunque chiarisco ancora qualcos'altro sull'origine dell'uso del termine "ortogonalizzazione". Deriva dall'ascolto del vinile. Tutti abbiamo fatto esperienza di come i disturbi del vinile (tic toc, fruscii) siano in genere (a meno di casi patologici) niente affatto "disturbanti". Anzi mi è capitato una volta di ascoltare un sistema in cui accadeva una cosa ancora più stupefacente: tali disturbi erano come "proiettati" su un invisibile schermo a filo dei due diffusori, mentre dietro si formava lo spazio tempo del suono musicale. Insomma era percepibile che il suono e i disturbi appartenevano a due eventi diversi, direi a due spazi-tempi diversi. Come in effetti è. Quindi alla percezione le due cose risultavano ben separate. Dal punto di vista matematico, con riferimento NON a quanto percepito a seguito dei suoni immessi in ambiente ma semplicemente al segnale in uscita dal pre, possiamo sempre considerare il rumore del vinile come il classico rumore gaussiano incorrelato rispetto al segnale originario. Pertanto le due cose che erano percettivamente distinte risultavano anche (nella parte invariante del sistema) incorrelate a livello di segnali. L'integrale di correlazione calcolato per "tau" =0 non è altro che il prodotto scalare dei due segnali, per cui se la correlazione è nulla si potrà dire che i due segnali sono matematicamente ortogonali.
Da qui la suggestione: due segnali matematicamente ortogonali venivano riprodotti in modo tale che non "disturbavano" la vicendevole percezione, come se appartenessero a due spazi-tempi diversi. Traslando questa immagine ai "due eventi", e parlando stavolta SOLO in termini osservazionali e percettivi, quindi sulla part enon invariante, uso il medesimo termine (ortogonalizzare) per dire che dovremmo rendere i due eventi "percettivamente" ortogonali, senza annullare nessuno dei due (per quanto detto nell'altro post). Non sò se sono chiaro, forse no.


Grazie sponsor per il tentativo di organizzare in maniera chiara e sistematica le intuizioni e sperimentazioni che state conducendo. Mi sia permesso di intervenire in particolare sul concetto di "ortogonalizzazione percettiva" che proponi.

Immagine evocativa, quella dell'ortogonalizzazione, ma veramente calzante?
Abbiamo due sequenze spaziotemporali, una ri-prodotta a partire da una codifica STEREO immagazzinata sul supporto, appartenente ad un ambiente ("un piano sonoro") altro rispetto agli altoparlanti, l'altra legata al locale e originata dalle membrane in movimento per stimoli differenti dalla sequenza voluta (stimoli preponderantemente MONO, come il toc del giradischi).
Scopo del tecnico dei "suoni musicali" è quello di rendere quanto più percettivamente differenti queste due sequenze. A questo dovrebbero servire i totem di feltro posizionati in ambiente e l'orientamento dei diffusori. Anzi, se la cosa è vera, il posizionamento ottimale lo si ottiene quando il suono in MONO e in STEREO è quanto più contrastato possibile, quanto più i due ascolti saranno situati su piani sonori diversi. Detta procedura potrebbe essere anche, all'inverso, un'utile metodo sperimentale per il posizionamento del feltro.

L'ortogonalizzazione non rende ragione dei fenomeni percettivi, a differenza dei codici trasmissivi. Infatti va considerato nell'integrale di correlazione anche il livello assoluto delle due sequenze (mascheramento per intensità), l'attenzione differenziale (legata al contesto e al significato dello sviluppo della sequenza per l'ascoltatore) ma sopratutto il fatto che la percezione della trama musicale è di tipo prevalentemente predittivo.
Esempio: una conversazione nella stanza di ascolto distrae dalla musica se avviene a volume più alto e se ha un senso compiuto.

Rimanendo nell' analogia proposta con la teoria dei segnali, è molto più calzante l'analogia con la distanza di codice. Le due sequenze spaziotemporali saranno tanto più distinguibili quanto più distanti secondo una opportuna distanza di codice, chiamiamola DSM, definita a partire dalle proprietà che il fenomeno dell'ascolto deve soddisfare:
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze spaziotemporali di diverso livello assoluto
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze scarsamente correlate
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze di significato diversi (es conversazione e musica piuttosto che pianoforte riprodotto e reale contemporanei)
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze meno percettivamente predicibili sia tra loro che al loro interno (la musica pop piuttosto che la classica contemporanea)
- ...

E' possibile a partire da queste considerazioni intuitive e abbozate definire una metrica applicabile al mondo del suono musicale?
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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda baby rattle » 2 feb 2009, 18:02

AudioNaif ha scritto:
sponsor ha scritto:Le tue critiche sono fondate, il mio uso del termine "ortogonalizzazione" è da intendersi come una immagine intuitiva di quello che accade, immagine che per quanto mi riguarda trovo molto suggestiva. Oltretutto lo utilizzo con riferimento al fenomeno percettivo, non al fenomeno fisico (campo sonoro propriamente detto). Il fenomeno fisico è uno, c'è una stanza con un campo sonoro confinato. Il distinguere i "due eventi" (mi scuso con baby rattle se continuo ad utilizzare la dizione evento uno e due come l'ho introdotta!) è già essere in un ambito percettivo, non invariante. Occorre avere ben chiaro in testa che quello che ho chiamato evento 2 non ha alcuna realtà fisica autonoma, siamo già in ambito percettivo. L'evento due esiste solo in ambito percettivo. Questa è la cosa forse più difficile per me da esprimere e rendere chiara, magari ci torniamo.
Comunque chiarisco ancora qualcos'altro sull'origine dell'uso del termine "ortogonalizzazione". Deriva dall'ascolto del vinile. Tutti abbiamo fatto esperienza di come i disturbi del vinile (tic toc, fruscii) siano in genere (a meno di casi patologici) niente affatto "disturbanti". Anzi mi è capitato una volta di ascoltare un sistema in cui accadeva una cosa ancora più stupefacente: tali disturbi erano come "proiettati" su un invisibile schermo a filo dei due diffusori, mentre dietro si formava lo spazio tempo del suono musicale. Insomma era percepibile che il suono e i disturbi appartenevano a due eventi diversi, direi a due spazi-tempi diversi. Come in effetti è. Quindi alla percezione le due cose risultavano ben separate. Dal punto di vista matematico, con riferimento NON a quanto percepito a seguito dei suoni immessi in ambiente ma semplicemente al segnale in uscita dal pre, possiamo sempre considerare il rumore del vinile come il classico rumore gaussiano incorrelato rispetto al segnale originario. Pertanto le due cose che erano percettivamente distinte risultavano anche (nella parte invariante del sistema) incorrelate a livello di segnali. L'integrale di correlazione calcolato per "tau" =0 non è altro che il prodotto scalare dei due segnali, per cui se la correlazione è nulla si potrà dire che i due segnali sono matematicamente ortogonali.
Da qui la suggestione: due segnali matematicamente ortogonali venivano riprodotti in modo tale che non "disturbavano" la vicendevole percezione, come se appartenessero a due spazi-tempi diversi. Traslando questa immagine ai "due eventi", e parlando stavolta SOLO in termini osservazionali e percettivi, quindi sulla part enon invariante, uso il medesimo termine (ortogonalizzare) per dire che dovremmo rendere i due eventi "percettivamente" ortogonali, senza annullare nessuno dei due (per quanto detto nell'altro post). Non sò se sono chiaro, forse no.


Grazie sponsor per il tentativo di organizzare in maniera chiara e sistematica le intuizioni e sperimentazioni che state conducendo. Mi sia permesso di intervenire in particolare sul concetto di "ortogonalizzazione percettiva" che proponi.

Immagine evocativa, quella dell'ortogonalizzazione, ma veramente calzante?
Abbiamo due sequenze spaziotemporali, una ri-prodotta a partire da una codifica STEREO immagazzinata sul supporto, appartenente ad un ambiente ("un piano sonoro") altro rispetto agli altoparlanti, l'altra legata al locale e originata dalle membrane in movimento per stimoli differenti dalla sequenza voluta (stimoli preponderantemente MONO, come il toc del giradischi).


Non capisco perchè " stimoli preponderantemente MONO".
Perchè il toc sarebbe mono?

Scopo del tecnico dei "suoni musicali" è quello di rendere quanto più percettivamente differenti queste due sequenze. A questo dovrebbero servire i totem di feltro posizionati in ambiente e l'orientamento dei diffusori. Anzi, se la cosa è vera, il posizionamento ottimale lo si ottiene quando il suono in MONO e in STEREO è quanto più contrastato possibile, quanto più i due ascolti saranno situati su piani sonori diversi. Detta procedura potrebbe essere anche, all'inverso, un'utile metodo sperimentale per il posizionamento del feltro.

L'ortogonalizzazione non rende ragione dei fenomeni percettivi, a differenza dei codici trasmissivi. Infatti va considerato nell'integrale di correlazione anche il livello assoluto delle due sequenze (mascheramento per intensità), l'attenzione differenziale (legata al contesto e al significato dello sviluppo della sequenza per l'ascoltatore) ma sopratutto il fatto che la percezione della trama musicale è di tipo prevalentemente predittivo.
Esempio: una conversazione nella stanza di ascolto distrae dalla musica se avviene a volume più alto e se ha un senso compiuto.

Se ha un senso compiuto puoi ortogonalizzarla se non lo ha ti costringe a farla congruire distraendoti dal resto.

Rimanendo nell' analogia proposta con la teoria dei segnali, è molto più calzante l'analogia con la distanza di codice. Le due sequenze spaziotemporali saranno tanto più distinguibili quanto più distanti secondo una opportuna distanza di codice, chiamiamola DSM, definita a partire dalle proprietà che il fenomeno dell'ascolto deve soddisfare:
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze spaziotemporali di diverso livello assoluto
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze scarsamente correlate
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze di significato diversi (es conversazione e musica piuttosto che pianoforte riprodotto e reale contemporanei)
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze meno percettivamente predicibili sia tra loro che al loro interno (la musica pop piuttosto che la classica contemporanea)
- ...

E' possibile a partire da queste considerazioni intuitive e abbozate definire una metrica applicabile al mondo del suono musicale?





Credo che tu stia navigando e personalmente non riesco a capire esattamente per dove.

Rimane valido a mio modo di vedere il concetto di ortogonalizzazione, che io integro in quello più vasto di congruenza spazio temporale a sua volta dentro l'ancora più vaso concetto di ortogonalizzazione della elaborazione intellettivo-emozionale dello stimolo fisiologico definibile come percezione ri-osservata ed auto-classificata in significati e quindi in valori.

Ortogonalizzazione è un termine suggestivo originariamente introdotto da sponsor e come suggestione bellissima deve rimanere, corrispondenze biunivoche con altri campi della tecnica non ci possono essere essendo riferito alla percezione e non a fenomeni fisici od operastori matematici (integrale di correlazione).

Le deduzioni e conclusioni affermative sulle "proprietà che il fenomeno dell'ascolto deve soddisfare" mi sembrano un poco azzardate senza una presa di conoscenza del fenomenologia al riparo di errori sistematici totalmente coprenti che non può essere osservata altrimenti che mediante il full moss.

Mi appari più realista del re...a meno che non ci racconti di esperienze di ortogonalizzazione e di distanza di DSM per sequenze musicali o miste, implementate e descritte.

L'acronimo DSM (distanza suoni musicali?....distanza sequenza musicale?) mi rimane oscuro non trovando io termini a cui riferire ogni lettera.
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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda sponsor » 2 feb 2009, 19:08

AudioNaif ha scritto:
Immagine evocativa, quella dell'ortogonalizzazione, ma veramente calzante?
Abbiamo due sequenze spaziotemporali, una ri-prodotta a partire da una codifica STEREO immagazzinata sul supporto, appartenente ad un ambiente ("un piano sonoro") altro rispetto agli altoparlanti, l'altra legata al locale e originata dalle membrane in movimento per stimoli differenti dalla sequenza voluta (stimoli preponderantemente MONO, come il toc del giradischi).
Scopo del tecnico dei "suoni musicali" è quello di rendere quanto più percettivamente differenti queste due sequenze. A questo dovrebbero servire i totem di feltro posizionati in ambiente e l'orientamento dei diffusori. Anzi, se la cosa è vera, il posizionamento ottimale lo si ottiene quando il suono in MONO e in STEREO è quanto più contrastato possibile, quanto più i due ascolti saranno situati su piani sonori diversi. Detta procedura potrebbe essere anche, all'inverso, un'utile metodo sperimentale per il posizionamento del feltro.


Non intendevo questo. Tralasciamo il mio esempio, riferito al segnale utile e ai disturbi del vinile (che voleva rendere più intuitivo il concetto, ma forse ha fatto solo confusione) e vediamo cosa succede in ambiente. Provo anche ad introdurre qualche altro elemento.
Per cominciare: la sequenza è una sola, anzi sono due ma solo perchè abbiamo lo "sterio". I due diffusori la immettono in ambiente. In ambiente accadono tutti i consueti fenomeni acustici che la caoticizzano etc. Il nostro cervello è chiamato a fare alcune cose tra loro in parziale contraddizione: anzitutto riconoscere il suono come appartenente al luogo ove il "portatore di cervello" si trova fisicamente ma insieme (in questo caos!) riconoscere che questo suono gli porta un altro evento, che questo altro evento è "quello che conta" e rinasce in quel momento come percezione di un messaggio e di un'emozione musicale che è appartenuta ad un altro spazio-tempo.
Domande: esiste l'alta fedeltà senza riconoscimento dell'ambienza dello spazio di ripresa? si occupa di alta fedeltà qualcuno che dica di non essere interessato alla scena sonora? come fà questo evento spazio-temporale ad essere "portato" da una coppia di segnali scalari? esiste il suono musicale senza percezione dell'ambienza dell'evento di origine? esiste l'emozione senza suono musicale? esiste il significato musicale senza emozione? Come vedi le questioni sono infinite.
Riassumendo: dal punto di vista acustico abbiamo un unico evento, dal punto di vista percettivo ne abbiamo due. Dobbiamo preservare questi due eventi percettivi e insieme distinguerli, sempre percettivamente. In quest'ottica dobbiamo renderli ... "ortogonali". Percettivamente ortogonali. Domanda: il feltro in tutto questo c'entra qualcosa?

AudioNaif ha scritto:L'ortogonalizzazione non rende ragione dei fenomeni percettivi, a differenza dei codici trasmissivi. Infatti va considerato nell'integrale di correlazione anche il livello assoluto delle due sequenze (mascheramento per intensità), l'attenzione differenziale (legata al contesto e al significato dello sviluppo della sequenza per l'ascoltatore) ma sopratutto il fatto che la percezione della trama musicale è di tipo prevalentemente predittivo.
Esempio: una conversazione nella stanza di ascolto distrae dalla musica se avviene a volume più alto e se ha un senso compiuto.

Rimanendo nell' analogia proposta con la teoria dei segnali, è molto più calzante l'analogia con la distanza di codice. Le due sequenze spaziotemporali saranno tanto più distinguibili quanto più distanti secondo una opportuna distanza di codice, chiamiamola DSM, definita a partire dalle proprietà che il fenomeno dell'ascolto deve soddisfare:
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze spaziotemporali di diverso livello assoluto
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze scarsamente correlate
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze di significato diversi (es conversazione e musica piuttosto che pianoforte riprodotto e reale contemporanei)
- la distanza DSM deve essere più elevata per sequenze meno percettivamente predicibili sia tra loro che al loro interno (la musica pop piuttosto che la classica contemporanea)
- ...

E' possibile a partire da queste considerazioni intuitive e abbozate definire una metrica applicabile al mondo del suono musicale?


Secondo me questa analogia non può funzionare. I codici ortogonali, i metodi a multiplazione di codice (CDMA) utilizzati ad esempio nei telefonini di terza generazione (UMTS) lavorano sempre nel campo della matematica. La teoria dice che questi codici sono MATEMATICAMENTE distinguibili tramite opportune operazioni di cross-correlazione pur essendo "mescolati" sulla stessa banda . Quindi puoi definire tutte le metriche che vuoi, le distanze etc. perchè è una trattazione matematicamente esatta.
Ma nel nostro caso stiamo parlando di altro: di mettere in campo quelle tecnologie abilitanti che servono a distinguere dal punto di vista percettivo due eventi, sempre percettivi, che originano da un unico fenomeno fisico. La situazione mi sembra ben diversa e può essere trattata solo con la categoria dell'osservazione sperimentale.
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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda AudioNaif » 2 feb 2009, 19:57

Sono impossibilitato a interagire in maniera decente, causa il ritardo temporale tra le mie risposte e le vostre, oltre che per ripetute e frequenti impossibilitä di accesso al forum.

Appurato che la ortogonalizzazione di sponsor era solo una analogia, analogia per analogia, quello che fai quando ortogonalizzi in uno spazio geometrico matematico o fisico qualunque è la definizione degli assi. Le due due sequenze spaziotemporali, i due elementi dello spazio sono individuati dalle loro coordinate proiettate sui componenti principali, tra loro ortogonali (in senso analitico generalizzato) e sono tanto piu distinguibili tra loro quanto piu distanti. E' necessario in primis quindi definire la metrica dello spazio in cui si vuole operare, metrica che deve rispettare le proprieta costitutive e caratterizzanti lo spazio considerato.
E in questo spazio gioca un ruolo non secondario la relazione di fase tra gli emettitori dell'evento ricreato (lo Stereo in parole povere) e la contrapposta casuale e singola sorgente di suono 'ortogonale' (toc del vinile, conversazione nell'ambiente di ascolto, rumori e suoni esterni etc..).
Mi paiono delle premesse interessanti che potrebbero portare ad una formalizzazione analogica (se non fisica) piu pregnante e suggestiva.

Comunque se l'ortogonalizzazione che tanto entusiasmo ha destato era solo un richiamo per assonanza, lasciamo perdere.
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Re: Dispersione nei diffusori

Messaggio da leggereda mode1 » 3 feb 2009, 9:58

"Sono impossibilitato a interagire in maniera decente, causa il ritardo temporale tra le mie risposte e le vostre, oltre che per ripetute e frequenti impossibilitä di accesso al forum."

Il ritardo temporale è dovuto all'occasionale mancanza di moderazione, lo spirito di questo forum non è incentarto sulla velocità o sulla repentina continuità di risposta, ma sui contenuti e quelli solo.
Potremmo tutti approfittare di queste per altro sporadiche pause per rileggere quanto è stato editato per provare a metabolizzare.
L'apparente lentezza va letta come un vantaggio, un'opportunità, un'occasione per fermarsi a riflettere. Io ne ho bisogno.
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