http://www.griseldaonline.it/temi/ai-gi ... dello.html
non ciò capito un cazzo....prova tu!
non so neppure cosa cazzo c'entra col ducetto francese eletto demo drasticamente
È dunque facile vedere nel destino di Achille un caso particolare del motivo binario, tanto diffuso e fortunato, del 'doppio dono' [41]; più in generale, la costante da cui partire per un inquadramento di tale motivo è la strutturale compresenza – nel tipo eroico – di qualità fra loro antitetiche, secondo un modello di cui Angelo Brelich ha sondato meglio di altri la portata [42]. Da questo punto di vista, caducità dell'esistenza ed eternità della gloria rappresentano una polarità strutturale di cui il modulo della compensazione non è che una delle possibili rappresentazioni testuali: a monte di tale rappresentazione – che costituisce un esito segnato da caratteri razionalistici e moralistici affatto particolari [43] – occorre risalire e attenersi alla fondamentale acronia del paradigma sottostante, che ogni procedimento di mise en discours tende per propria natura a 'temporalizzare' secondo l'obbligata linearità del sintagma narrativo, restituendo sotto specie di successione o di nesso causale il sistema soggiacente dei valori in gioco [44]. Le modalità di linearization o di temporalization narrativa cui tale paradigma può prestarsi sono varie e molteplici, come avremo occasione di accennare. Ma strutturale e fondante rimane il nesso 'giovinezza'-'morte', di cui Achille rappresenta una figurazione mitica tanto particolare quanto esemplare, e la cui antitesi va cercata – come ha ben visto Vernant – nel modello omerico della morte anti-eroica, sta a dire della comune vecchiaia, eminentemente rappresentata nel discorso di Sarpedone a Glauco (Il. XII 322-328): «l'exploit héroïque s'enracine dans la volonté d'échapper au vieillissement et à la mort, quelque "inévitables" qu'ils soient, de les dépasser tous les deux. On dépasse la mort en l'accueillant au lieu de la subir, en en faisant le constant enjeu d'une vie qui prend ainsi valeur exemplaire et que les hommes célébreront comme un modèle de "gloire impérissable"» [45]. Ignis quo clarior fulsit citius extinguitur, scriverà Seneca (ad Marc. 23,4), in una prospettiva – quella della consolatio – che torneremo presto a incontrare. A partire da tali premesse, è chiaramente spartito lo spazio semantico su cui operare le più varie manipolazioni ideologiche [46]: data l'opposizione acronica 'vita'/'morte', con la sottesa opposizione 'non-morte'/'non-vita', laddove sia stabilito 'vita' = 'giovinezza' (o, omericamente, il «fiore della giovinezza» [47]) e 'non-vita' = 'vecchiaia', con essi apparirà, presupposto reciproco della giovinezza, la 'morte', e, suo complementare, quella particolare forma di 'non-morte' che nell'ideologia omerica è il kleos aphthiton, la «gloria imperitura». Tali termini, esemplarmente incarnati nella vicenda terrena (e poetica) di Achille, resteranno disponibili a infinite pratiche di riuso ideologico. «Morti, non muoiono», affermerà, con compiaciuta antitesi, un epigramma attribuito a Simonide (AP VII 251,3) e dedicato a soldati meritevoli di asbeton kleos, «gloria inestinguibile»; e nell'elegia per la battaglia di Platea, con una generalizzazione che non sorprende, lo stesso Simonide potrà definire tramite l'aggettivo che l'Iliade riserva ad Achille – okymoros – la stirpe intera degli eroi cantati da Omero (fr. 11,17s. W.2) [48].