Parlando al telefono ieri sera con Lorenzo, ricordavamo un passaggio epocale in questo mondo audio che, pur corrispondendo a un vasto successo commerciale, è stato sostanzialmente "perso" come opportunità per capire alcuni fenomeni. Mi riferisco al boom dei minidiffusori.
La mia prima copia dell'annuario Suono è quella di Settembre 1978 (quindi sono passati 31 anni!). Ogni tanto me la sfoglio: ebbene c'erano già alcuni prodotti che avrebbero negli anni seguenti fatto la storia dell'audio. Mi riferisco in particolare alla Rogers Ls3/5a: ricordo che all'epoca guardavo con sufficienza un prodotto piuttosto caro con un woofer da 11 cm, mentre ero molto attratto dalle grandi Klipsch, Jbl, etc.
Poi alcuni anni dopo (nel 1986 mi pare) ne comprai una coppia per realizzare un impianto secondario in una piccola stanza: mi accorsi ben presto che le mie preferenze di ascolto migrarono nel giro di pochi giorni dalle grandi Jbl 4333 alle piccole Ls3/5a, e la cosa mi lasciò stupefatto. Era chiaro che le piccole avevano una marcia in più anche se sulla carta, in termini di prestazioni pure, il confronto era improponibile. Questa dicotomia non è mai stata ufficialmente approfondita o risolta. Ancora oggi quando si leggono interventi sui forum o articoli di riviste ci si arrampica sugli specchi per giustificare il grande successo dei minidiffusori in free standing e si assumono atteggiamenti spesso canzonatori nei confronti di chi ha prediletto questa forma di ascolto: si parla di moda, ascolto "ruffiano", piccoli diffusori per piccoli ambienti, scarsa abitudine all'ascolto dal vivo, etc.
Insomma il mondo si sbaglia: il fatto che le Ls3 usate si vendano a peso d'oro, che abbiano uno tra i più alti giudizi di valore su siti che riportano il giudizio di chiunque lo voglia esprimere (come audioreview.com) non conta.
Invece di interrogarsi sul perché un oggetto simile, con tutti i limiti strumentali che ben sappiamo, abbia un tale indice di gradimento all'ascolto si è preferito negare la realtà ovvero, altro estremo, dar libero sfogo all'anarchia recensoria.
Qui credo stia gran parte della malattia di questo mondo, che preferisce negare l'altrui percezione (non conta il modo: la si nega sia appellandosi all' "oggettività" di certe misure sia dall'altro estremo ergendosi a recensore unico e sommo) piuttosto che partire dall'analisi fenomenologica per cercare di capire cosa accade.