splice

esperti, esigenti e di poco esborso

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Messaggio da leggereda tran quoc » 27 gen 2021, 17:53

G.P.Matarazzo ha scritto:Calabrese evidentemente nella fretta di parlar male di AudioReview dimentica diverse cose che da tecnico quale afferma di essere dovrebbe certamente sapere. Io sono perfettamente sicuro che sappia bene di che sto parlando. Oltretutto afferma di aver lavorato con la time delay spectrometry (TDS) che utilizza identiche modalità di lavoro. La tecnica del campo lontano e del near field è stata spiegata almeno una decina di volte sulle pagine di AR, ed anche su quelle di Digital Video e su quelle di Acs. Io non ne ho mai fatto mistero, come possono testimoniare tutti quelli che la rivista se la leggono davvero e davvero non vedo perché avrei dovuto farlo. Cerchiamo di chiarire innanzitutto di cosa stiamo parlando, perché qualche lettore meno addentro alla cosa potrebbe capire male e credere al mio amico sensazionalista.
c'è anche il caccoso...
Posto che la misura al classico metro di distanza sia impossibile da realizzare in un sol colpo, ovvero esplorando tutto l’intervallo di frequenze da 20 a 20.000 Hz si ricorre ad un metodo che scinde in due la rilevazione: il near field (letteralmente campo vicino) col microfono posto vicino alla membrana del woofer e successivamente a quella del condotto di accordo a cui si somma con modalità spesso illustrate. E’ ovvio che pur con un andamento corretto la pressione letta ai capi del microfono in campo vicino è molto elevata, tra i 120 ed i 130 decibel a seconda della sensibilità del diffusore sotto misura. A questo punto si sposta il microfono ad un metro, e si esegue il far field ossia la misura in campo lontano con la capsula e la catena di amplificazione attentamente calibrata. In questa fase si adopera una finestra temporale, ovvero un intervallo di tempo quanto più lungo possibile ma non tanto da fargli percepire le riflessioni delle pareti laterali o del pavimento (il soffitto nel nostro caso fa poco testo perché grazie ad una generosa altezza dello stabile della Technipress è stato pesantemente trattato). Questo tempo nella nostra sala vale 15 millisecondi. Tale tempo sposta la minima frequenza misurabile in 2,5/0,015 ovvero 166,6 Hz. Oltre a ciò occorre ricordare che Doug Rife utilizza in MLSSA l’opzione della doppia finestra ( adaptive window) che in effetti permetterebbe una misura corretta fino a circa 120 Hz. Noi preferiamo mantenerci comunque a distanza utilizzando una frequenza poco più che doppia per una ragione molto semplice, che il buon Calabrese ha dimenticato, nella fretta di rispondere e che vedremo dopo. Dopo aver effettuato le due rilevazioni si opera uno “splice” ovvero una cucitura via software tre le due misure. Benchè MLSSA consenta di fare questa operazione in perfetto automatismo preferisco affidarmi ad un software da me scritto espressamente nel 1991, quando effettuavo le stesse misure per Suono. La ragione è semplice: utilizzando una FFT molto elevata in gamma bassa se ne aumenta la risoluzione in frequenza (un punto ogni 0,49 Hz) mentre con lo splice di MLSSA il massimo numero di punti visualizzabile verrebbe spalmato in tutto l’intervallo, e ciò farebbe diminuire la risoluzione effettiva a bassa frequenza perché il grafico di visualizzazione è logaritmico. Il software in buona sostanza sottrae alla misura in campo vicino tanti decibel quanta è alla frequenza di splice la differenza tra campo lontano e campo vicino e giunta con una precisione “computeresca” le due curve. Non si opera alcun tipo di arrotondamento o di integrazione, e chiunque abbia guardato almeno un grafico di risposta in frequenza può capirlo da solo. Il software compie altri calcoli che, dopo la misura consentono di computare la sensibilità media e le tensioni necessarie per ottenere, in base a questo dato, i livelli da generare a 90 ed a 100 decibel per la misura della distorsione e della TND, mentre salva anche i livelli alle frequenze della MIL a cui poi andrà sommata assieme alla compressione dinamica. Questa misura di risposta, per altro, è l’unica strada percorribile ed è quella praticata 30 anni fa dalla ESB, dalla RCF che le eseguivano anche per le riviste e da tutti quelli che fanno oggi misure, come la Focal, la Kef, la Mirage, la Energy, la Canton, la Opera, la Chario e tutti i marchi che in questi ultimi anni ho avuto la fortuna di visitare. Beh, Calabrese potrebbe fare una e-mail di fuoco a tutti questi costruttori, oltre a doverla fare a Doug Rife, all’Audiomatica, a Joseph D’Appolito ed a tutti quelli che hanno diffusamente illustrato questa tecnica di misura dalle pagine degli utilissimi preprint dell’AES. La precisione è assoluta ed a prova di errore, così come quella ottenuta con il B&K 2012 in nostro possesso che utilizza il metodo della TDS, strumento utilizzato da Paolo Nuti e C. nella Technimedia dagli inizi degli anni 90, in una sala di dimensioni leggermente più contenute di quelle attuali con una coibentazione simile. Il motivo è semplice: funziona bene e garantisce risultati perfetti. Uno sguardo alle misure della JBL Everest o della Utopia, o ancora della enorme e complessa Chario Grand dovrebbe chiarire ogni dubbio. Se proprio non siete convinti potete sempre fare una e-mail ai rispettivi progettisti e domandare quanto le misure effettuate nei loro laboratori si discostino da quelle effettuate in Technipress. Lo stesso Bebo Moroni da mio ex direttore può eventualmente raccontarvi di qualche commento negativo alle misure fatte sin dal 1991. Ma veniamo a due degli inconvenienti possibili: la prima riflessione del pavimento e quella delle pareti laterali. Le riflessioni delle pareti vengono aggirate disponendo microfono e diffusore nella diagonale della sala, in modo da avere una semi-distanza superiore a quella della finestra temporale impiegata. La riflessione del pavimento è quella all’apparenza meno difficile da aggirare, se non fosse per il fatto che questa diventa pericolosa in una sottile fettuccia larga 1,2 metri tra il supporto del microfono e quello del diffusore. Col tweeter elevato (assieme al microfono) di 2,2 metri abbiamo ben 12,76 millisecondi di tempo, così da avere una risoluzione di 195,9 Hz, ancora per fortuna inferiore alla frequenza di splice. Per non correre rischi utilizziamo un pannello costruito appositamente, con uno strato di feltro ad alta densità su cui è incollato un bugnato di melammina. Prima di effettuare la misura in campo lontano si pone questo pannello a terra tra diffusore e microfono: il risultato è veramente notevole: un abbattimento cos’ elevato della prima riflessione che nei primi 15 millisecondi non perturba affatto la misura. Se ciò non fosse vero dovreste vedere una serie di attenuazioni a pettine in tutto l’intervallo della misura da 280 a 20.000 Hz, che non viene affatto ottimizzata con smoothing vari, se no la curva sarebbe molto più dolce e priva di asperità. Ma veniamo all’affermazione fatta prima: perché non sarebbe conveniente misurare un diffusore ad un metro in camera anecoica senza fare due misure? Bene, per convenzione la misura deve essere riportata ad un angolo solido dimezzato, ovvero ad un semispazio, ma viene eseguita in camera anecoica, o con una finestra temporale che misura un impulso anecoico, quindi in un angolo solido completo. La fisica dimenticata nella fretta da Calabrese dice che un diffusore opera in un semispazio se la frequenza emessa ha una lunghezza d’onda minore o uguale al perimetro del diffusore. Al diminuire della frequenza la lunghezza d’onda aumenta ed aggira il pannello frontale del diffusore emettendo in un angolo solido completo. Il livello ovviamente si dimezza (-6 dB) attuando una sorta di filtratura (shelving) fino ad assestarsi ad una frequenza circa 4 volte più bassa, a questo livello. Otterremmo misure, andamenti e livelli di pressione dipendenti dal pannello del diffusore e quindi non direttamente confrontabili. L’ipotesi che in ambiente le cose vadano molto diversamente ha fatto scegliere la relazione più credibile in uno spazio mezzi, ma possiamo vedere che con i diffusori più piccoli questa anomalia anecoica sia appena visibile, così come accadde per la Rogers 3/5 quando ne progettai il subwoofer, anomalia all’epoca adeguatamente illustrata e tenuta nel conto. Questo standard è usato da tutti, ma proprio tutti, i costruttori al mondo. Mi dispiace per Calabrese, che a questo punto deve scrivere una marea di email. Mi domando anche come abbia misurato le sue trombe per P.A. visto che irradiano sempre in un semispazio: una misura all’aperto, vantata da molti, non basta, occorre una altezza da terra di 4,3 metri per 40 Hz minimi. Beh, nel Nevada incassavano il diffusore nella sabbia, ma in Italia la vedo dura. Vuoi vedere che i diffusori si progettano e si misurano solo d’estate? In conclusione vorrei suggerire a Calabrese di misurarsi ogni tanto e di misurare anche le affermazioni che fa. Più parla di fretta senza pensare e più si tira la zappa sui piedi, come con la rete di crossover della JBL. L’ossessivo tentativo di coinvolgimento degli altri per altro non trova che qualche timida risposta. Joseph D’appolito, un tecnico che certo non abbisogna di presentazioni, ha scritto un ottimo testo sulle misure dei diffusori alla luce delle tecniche odierne, illustrando molto meglio di me come si effettua questa misura, esplorando tutte le altre possibilità. Magari una lettura veloce non farebbe male a tutti quelli in vena di criticare o di non credere più alle nostre rilevazioni, tanto più che il testo è in italiano. Non è il caso certo di Calabrese: queste cose le conosce perfettamente e sa di sollevare discussioni che non portano a nulla. Gli piace montare polemiche per insinuare il dubbio negli altri. Perché? Boh!

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