L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

un linguaggio comune per il suono musicale

L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda Luc1gnol0 » 2 feb 2009, 20:04

L'inserimento dell'ascoltatore come esso stesso sorta di trasduttore elettro-acustico nella modellizzazione della riproduzione di musica stereofonica passa come momento fondamentale per la comprensione della scienza dei suoni musicali.

A ben guardare, nel rispondere alla domanda "che cosa udiamo?", si da forse per scontata tutta una serie di nozioni e fenomeni affatto condivisi per vari motivi, a cominciare dalla diversità di cultura scientifica propria di ognuno.

La stessa cd. "scienza ufficiale", fornisce, nelle sue versioni più dichiaratamente divulgative, concetti e nozioni semplificati che non consentono ai non specialisti di approcciare il problema in maniera precisa e delimitata.
Al riguardo, ed al solo fine di iniziare la discussione, riporto una definizione generalissima (che prescinde al momento dalla fisiologia dell'apparato uditivo) ripresa (per comodità di reperimento) dalla nota enciclopedia libera Wikipedia:

Wikipedia, voce "Psicoacustica" ha scritto:L'udito umano è simile ad un analizzatore di spettro, così che l'orecchio risolve il contenuto spettrale della pressione dell'onda di pressione senza tener conto della fase del segnale. Nella pratica, si possono percepire alcune informazioni della fase. La differenza di fase tra un orecchio e l'altro è una notevole eccezione che fornisce una parte significante nella localizzazione del suono. Gli effetti di filtraggio della testa offrono un altro importante spunto per la direzione.


Con riferimento (futuro) ai suoni musicali, cosa possiamo dire di quanto sopra? E' relativamente corretto come assunto? Va viceversa precisato, integrato o modificato? Rigettato?

Cosa succede quando un ascoltatore, intendendo un sistema complesso orecchio-cervello, interagisce con onde di pressione, ed in particolare all'interno di un ambiente spazialmente limitato e sostanzialmente "chiuso"?

Come funziona da un punto di vista della fisiologia l'orecchio?
Come funziona la trasduzione delle onde di pressione in stimoli elettrici?
Come vengono interpretati questi stimoli dal sistema neurologico umano?
Come viene influenzata la percezione dagli aspetti culturali, emotivi, che pertengono tutti e/o ciascuno?

Infine, cosa succede quando è un "suono musicale" a stimolare questo coacervo di "sistemi" diversi ed interdipendenti?
O forse, ancora prima di quest'ultima domanda, un "suono musicale" si descrive come sequenza ordinata di intervalli di tempo per via dello stesso funzionamento dell'orecchio e del cervello, ovvero per via del processo di codifica/registrazione stereofonico, o piuttosto per via di tutte e due le cose? E nel caso, come interagirebbe la codifica stereofonica, i suoi prodotti, con le modalità di interpretazione della realtà sonora dell'ascoltatore?
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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda baby rattle » 2 feb 2009, 20:44

Luc1gnol0 ha scritto:L'inserimento dell'ascoltatore come esso stesso sorta di trasduttore elettro-acustico nella modellizzazione della riproduzione di musica stereofonica passa come momento fondamentale per la comprensione della scienza dei suoni musicali.

A ben guardare, nel rispondere alla domanda "che cosa udiamo?", si da forse per scontata tutta una serie di nozioni e fenomeni affatto condivisi per vari motivi, a cominciare dalla diversità di cultura scientifica propria di ognuno.

La stessa cd. "scienza ufficiale", fornisce, nelle sue versioni più dichiaratamente divulgative, concetti e nozioni semplificati che non consentono ai non specialisti di approcciare il problema in maniera precisa e delimitata.
Al riguardo, ed al solo fine di iniziare la discussione, riporto una definizione generalissima (che prescinde al momento dalla fisiologia dell'apparato uditivo) ripresa (per comodità di reperimento) dalla nota enciclopedia libera Wikipedia:

Wikipedia, voce "Psicoacustica" ha scritto:L'udito umano è simile ad un analizzatore di spettro, così che l'orecchio risolve il contenuto spettrale della pressione dell'onda di pressione senza tener conto della fase del segnale. Nella pratica, si possono percepire alcune informazioni della fase. La differenza di fase tra un orecchio e l'altro è una notevole eccezione che fornisce una parte significante nella localizzazione del suono. Gli effetti di filtraggio della testa offrono un altro importante spunto per la direzione.


Con riferimento (futuro) ai suoni musicali, cosa possiamo dire di quanto sopra? E' relativamente corretto come assunto? Va viceversa precisato, integrato o modificato? Rigettato?

Cosa succede quando un ascoltatore, intendendo un sistema complesso orecchio-cervello, interagisce con onde di pressione, ed in particolare all'interno di un ambiente spazialmente limitato e sostanzialmente "chiuso"?

Come funziona da un punto di vista della fisiologia l'orecchio?
Come funziona la trasduzione delle onde di pressione in stimoli elettrici?
Come vengono interpretati questi stimoli dal sistema neurologico umano?
Come viene influenzata la percezione dagli aspetti culturali, emotivi, che pertengono tutti e/o ciascuno?

Infine, cosa succede quando è un "suono musicale" a stimolare questo coacervo di "sistemi" diversi ed interdipendenti?
O forse, ancora prima di quest'ultima domanda, un "suono musicale" si descrive come sequenza ordinata di intervalli di tempo per via dello stesso funzionamento dell'orecchio e del cervello, ovvero per via del processo di codifica/registrazione stereofonico, o piuttosto per via di tutte e due le cose? E nel caso, come interagirebbe la codifica stereofonica, i suoi prodotti, con le modalità di interpretazione della realtà sonora dell'ascoltatore?






Quanto tempo abbiamo per rispondere?





Una vita non basta, per la prossima ci stiamo attrezzando, l'entusiasmo del "neofita" è terrificante, tutto e subito e al massimo livello.

Fissiamo qualche punto, è tutto molto più complicato e molto più semplice ovvero si deve andare a cercare risposte difficilissime da altre parti.

Una risposta è la sequenza, chi conosce il controllo sequenziale di qualità ne conosce la potenza predittoria.

Che esca un numero ha una probabilità, che ne esca uno in successione, un'altra, che esca una sequela di numeri senza ordine di estrazione, un'altra probabilità, che esca una sequenza anche di pochi numeri ha probabilità bassissima, che esca una sequenza IGNOTA non ha nessuna probabilità di avverarsi.

il suono musicale da riprodurre è una sequenza ignota dove l'ordine sequenziale investe immediatamente il concetto di infinito e la sua perturbazione il concetto di infinitesimo entrambi da stimare attraverso categorie di osservazione e giudizi di valore regolati e condotti dal giudizio di congruenza che si avvale del più fenomenale dei mezzi assegnati all'essere umano ovvero la verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo per cui l'accadere di alcunchè che lo contraddice che inverte il prima col dopo viene immediatamente ed irrimediabilmente rivelato e non accettato.


Il suono musicale è in realta composto da un numero "indisponente" di sequenze, ma per ragionare basta far riferimento ad una.

A corollario, se prima quel coso che emetteva suoni stava lì ed era fatto così, perchè ora sta là ed è fatto cosà?
Perchè il suono non appartiene a chi lo ha prodotto, perchè non si capisce chi ha prodotto il suono?

Vorrei che in questa fase si capisse solamente con quale bestiaccia abbiamo a che fare e perchè all'universo mondo sono finora sfuggite questioni costitutive e fondamentali fino a dar luogo al più grande errore di tutta la storia delle umane scienze.

lo sforzo deve essere quello di separarsi da vecchi concetti: pressione, fase, risposta in frequenza e tanti altri amminnicoli, ci vorrà tempo, siamo qui per questo a discuterne.

Proviamo ad osservare come dal vivo si costruisce la sequenza a bocca microfono e come il microfono effettui un filmato girando tutto attorno allo strumento non si sa seguendo quale percorso, il tutto riportato poi ad una intera orchestra.

Quando la mente comincia a vacillare lì comincia la comprensione della sequenza relativa al suono musicale.

Quella sequenza, formatasi a bocca di ciascun microfono, la ripeteranno non si sa quante voci non si sa per quanto tempo ciascuna di esse non si sa quale alterata parte di ciascuna di esse.
.

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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda Luc1gnol0 » 2 feb 2009, 21:45

baby rattle ha scritto:la verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo per cui l'accadere di alcunchè che lo contraddice che inverte il prima col dopo viene immediatamente ed irrimediabilmente rivelato e non accettato.

Osservando una forma d'onda all'oscilloscopio io osservo l'andamento nel tempo (integrazione) di valori impulsivi: perché non è sufficiente come "verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo" (concetto QUANTO MAI DIBATTUTO in fisica, modernamente almeno sin dai tempi di Boltzmann e, con riferimento ai greci, ancor prima)? O meglio, perché non è sufficiente all'orecchio-cervello?

baby rattle ha scritto:Proviamo ad osservare come dal vivo si costruisce la sequenza a bocca microfono e come il microfono effettui un filmato girando tutto attorno allo strumento non si sa seguendo quale percorso, il tutto riportato poi ad una intera orchestra.

Quando la mente comincia a vacillare lì comincia la comprensione della sequenza relativa al suono musicale.

Quella sequenza, formatasi a bocca di ciascun microfono, la ripeteranno non si sa quante voci non si sa per quanto tempo ciascuna di esse non si sa quale alterata parte di ciascuna di esse.

La mia mente vacilla, ma non comincia la comprensione. Forse qualcuno dovrebbe/potrebbe mostrarmi in "slow motion" questo ipotetico filmato?

Comunque, proprio perché non capisco, vorrei appoggiarmi ad un contributo fornito in altra occasione da Paolo Caviglia:

drpaolo il 20/01/2009, 22:04:09, altrove ha scritto:Esiste una riproduzione stereofonica, che è completamente definita da quanto scrisse A.D. Blumlein sul suo brevetto del 1931:

The fundamental object of the invention is to provide a sound recording and reproducing system whereby a true directional impression may be conveyed to a listener thus improving the illusion that the sound is coming, and is only coming, from the artist or other sound source presented to the eye.

E tutto ciò semplicemente manipolando frequenza e fase del segnale sui due canali del segnale registrato

Se non altro perché è di questo di cui parliamo: musica stereofonica.

Il suono di uno strumento che suona, lì ed allora, la storia che è già avvenuta, la sequenza, viene da una manipolazione di frequenza e fase (alla faccia di quella scienza ufficiale che dice che l'orecchio non sia generalmente sensibile alla fase) effettuate dopo (o durante?) la bocca del microfono.

Quindi il suono musicale potrebbe essere descritto, qualitativamente, da come il sistema orecchio-cervello reagisca, o possa reagire, a quelle variazioni: oppure no? In caso affermativo, per poterlo dire, bisognerebbe almeno sapere, non dico come funzionino, ma almeno come oggi si creda che funzionino sia la codifica stereofonica (ho i miei dubbi che molti lo sappiano), sia l'orecchio ed il cervello? Oppure ancora no?

Detta forse diversamente, una (appunto) diversa sintesi potrebbe essere: qual è stata la "illuminazione", quand'è avvenuta? Come vi siete accorto un giorno, come siete arrivato a pensare: "il suono musicale è fatto così", per queste ragioni, per queste evidenze?
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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda baby rattle » 2 feb 2009, 22:56

Luc1gnol0 ha scritto:
baby rattle ha scritto:la verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo per cui l'accadere di alcunchè che lo contraddice che inverte il prima col dopo viene immediatamente ed irrimediabilmente rivelato e non accettato.

Osservando una forma d'onda all'oscilloscopio io osservo l'andamento nel tempo (integrazione) di valori impulsivi: perché non è sufficiente come "verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo" (concetto QUANTO MAI DIBATTUTO in fisica, modernamente almeno sin dai tempi di Boltzmann e, con riferimento ai greci, ancor prima)? O meglio, perché non è sufficiente all'orecchio-cervello?


Puoi portare materiale relativo a tanto dibattere?

baby rattle ha scritto:Proviamo ad osservare come dal vivo si costruisce la sequenza a bocca microfono e come il microfono effettui un filmato girando tutto attorno allo strumento non si sa seguendo quale percorso, il tutto riportato poi ad una intera orchestra.

Quando la mente comincia a vacillare lì comincia la comprensione della sequenza relativa al suono musicale.

Quella sequenza, formatasi a bocca di ciascun microfono, la ripeteranno non si sa quante voci non si sa per quanto tempo ciascuna di esse non si sa quale alterata parte di ciascuna di esse.

La mia mente vacilla, ma non comincia la comprensione. Forse qualcuno dovrebbe/potrebbe mostrarmi in "slow motion" questo ipotetico filmato?

Tralasciando per ora il filmato non è difficile seguire in slow motion i singoli arrivi, cominciando dai primi arrivi di ciascuno strumento, regolati dalla distanza dal microfono, per passare poi alle prime riflessioni di ciascuno, seconde, terze etc. non perdendo di vista il loro sovrapporsi per ciascun istante considerato.
La velocità di propagazione del suono e la dimensione massima dell'ambiente danno una indicazione di massima di quante volte lo stesso segnale ripassa per lo stesso punto.


Comunque, proprio perché non capisco, vorrei appoggiarmi ad un contributo fornito in altra occasione da Paolo Caviglia:

drpaolo il 20/01/2009, 22:04:09, altrove ha scritto:Esiste una riproduzione stereofonica, che è completamente definita da quanto scrisse A.D. Blumlein sul suo brevetto del 1931:

The fundamental object of the invention is to provide a sound recording and reproducing system whereby a true directional impression may be conveyed to a listener thus improving the illusion that the sound is coming, and is only coming, from the artist or other sound source presented to the eye.

Il full moss non funziona secondo il principio della stereofonia ma secondo quello della sequenza multipla discriminabile e congruibile ed è di fatto il superamento della stereofonia a partire da segnali codific6ato col metodo stereofonico.

E tutto ciò semplicemente manipolando frequenza e fase del segnale sui due canali del segnale registrato

Se non altro perché è di questo di cui parliamo: musica stereofonica.

Vedi sopra.

Il suono di uno strumento che suona, lì ed allora, la storia che è già avvenuta, la sequenza, viene da una manipolazione di frequenza e fase (alla faccia di quella scienza ufficiale che dice che l'orecchio non sia generalmente sensibile alla fase) effettuate dopo (o durante?) la bocca del microfono.

Frequenza e fase non sono le sole informazioni presenti, lo sono secondo la descrizione mediante risposta in frequenza e terorema di fourier, l'ordine sequenziale aggiunge informazioni enormemente superiori perchè sottoposto a verifica di congruenza dal sistema elaborazione/costruzione di realtà spazio temporale costituito dal cervello.

Quindi il suono musicale potrebbe essere descritto, qualitativamente, da come il sistema orecchio-cervello reagisca, o possa reagire, a quelle variazioni: oppure no? In caso affermativo, per poterlo dire, bisognerebbe almeno sapere, non dico come funzionino, ma almeno come oggi si creda che funzionino sia la codifica stereofonica (ho i miei dubbi che molti lo sappiano), sia l'orecchio ed il cervello? Oppure ancora no?

Stiamo cercando di dirlo, se ogni volta si ruzzola in basso sarà difficile arrivare in cima.

Detta forse diversamente, una (appunto) diversa sintesi potrebbe essere: qual'è stata la "illuminazione", quand'è avvenuta? Come vi siete accorto un giorno, come siete arrivato a pensare: "il suono musicale è fatto così", per queste ragioni, per queste evidenze?






Cominciamo dalla fine, escludendo illuminazioni ed escludendo che una evidenza comportamentale in tema di suono musicale si possa dare a parole.

Io ho affermato che il suono musicale è una storia spazio temporale e che questa definizione è la sola corretta in riforma di quella che stabilisce che il suono è un aggregato di armonici; che il suono non può essere descritto nel dominio della frequenza a causa della non invarianza del sistema.

La dimostrazione, già data anche in questo forum, sta nella impossibilità di descrivere la differenza tra uno e più strumenti che emettono lo stesso contenuto armonico.

Che il sistema è non invariante dovrebbe essere acquisito altrimenti ci si ferma a confutare la cosa.

Che il suono per il motivo sudetto vada descritto e rappresentato unicamente nel dominio del tempo è cosa strettamente e matematicamente conseguente non esistendo più operatori matematici per passare da un dominio all'altro.

Se non ho alcunchè che mi rende conto dell'esistenza di più strumenti, che me li differenzia attraverso la loro posizione nello spazio e non mi reca l'informazione di posizione e di modalità di emissione e se nulla mi rende conto dello svolgimento nel tempo che introduce e determina il mascheramento relativo a causa della non invarianza e attraverso l'ordine temporale di arrivo all'ascoltatore non si potrebbe davvero come distinguere tra suono fisico e suono fisilogico/musicale.

Altra distinzione da tenere ben presente e di cui trarre le conseguenze altrimenti si confuta.

Non vado oltre perchè come detto ad audionaif non si possono affrontare questioni totali senza aver ben chiaro quelle parziali e costitutive.

Chiedo di controverso, la confutazione che il suono sia una storia spazio temporale, definizione non riducibile ed omnicomprensiva, ovvero la dimostrazione/ dubbio che il suono sia rappresentabile attraverso il contenuto armonico/risposta in frequenza.

Il filmato che fa il microfono non è concetto attingibile se non si passa prima dalla definizione di suono musicale, acquisita senza riserve e traendone le conseguenze, non certo per atto fideistico.

In assenza si discuterà solamente questo punto della definizione del suono fino al superamento di tutte le obiezioni e confutazioni.
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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda baby rattle » 2 feb 2009, 23:52

Aggiungo, con riferimento al segnale all'oscilloscopio, che esso finchè sta nello strumento non è suono ma segnale elettrico, descritto e rappresentato dal contenuto armonico e dalle relazioni di fase; quel tale segnale immesso in ambiente come suono deve giungere all'orecchio e con esso il cervello deve ricostruire la sua realtà spazio temporale nel caso che sia un suono che ha vissuto in un ambiente originario, negare l'esistenza di una realtà spazio temporale ad esso associata se trattasi di suono di sintesi.

Senza il concetto che distingue il suono fisico dal suono fisiologico, suono che ha vissuto in ambiente e suono prodotto artificialmente e le due diverse possibilità di rappresentazione/trattazione, fisico-strumentale l'uno, unicamente percettivo e fenomenologico l'altro non si va da nessuna parte .

Sorry!

E debbo per forza rimandare a quanto già scritto, articolo e manifesto entrambi presenti sul sito www.moss.sitonline.it

Per poter andare avanti occorre accettare o confutare quanto ivi affermato.
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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda Luc1gnol0 » 3 feb 2009, 12:54

baby rattle ha scritto:
Luc1gnol0 ha scritto:"verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo" (concetto QUANTO MAI DIBATTUTO in fisica, modernamente almeno sin dai tempi di Boltzmann e, con riferimento ai greci, ancor prima)?

Puoi portare materiale relativo a tanto dibattere?

Si narra che nel 1872 Ludwig Boltzmann, padre fondatore (non unico) della termodinamica (ed infatti il concetto di "freccia del tempo", time flies like an arrow, si fa risalire storicamente proprio all'emersione della termodinamica come ambito speculativo), tenne una conferenza per spiegare ai suoi colleghi come l'entropia dei sistemi isolati aumenti irreversibilmente nel tempo.

Nelle udire queste affermazioni Josef Loschmidt, fisico e chimico, si alzò pubblicamente a protestare (la cosa è curiosa perché Loschmidt era collega di università e buon amico dello stesso Boltzmann). Loschmidt sosteneva che tutte le leggi che governano il moto delle particelle sono simmetriche rispetto al tempo, quindi qualunque sistema, che in ipotesi fosse decaduto, lo si potesse far tornare in uno stato ordinato semplicemente invertendo le quantità di moto di ogni singola particella. Secondo l'agiografia ufficiale (in senso lato), si narra che Boltzmann, spazientito, replicasse: bravo, e provaci pure tu ad invertire le quantità di moto!

Lo scontro tra i due amici mostra in realtà quello scontro accademico (il famoso "dibattere") che illustra la natura paradossale del secondo principio della termodinamica (tutti i sistemi tendono verso la massima entropia): l'obiezione di Loschmidt è irrefutabile, tant'è che, se si mostrasse (se si potesse mostrare) il filmato del moto di un gruppo di particelle ad un qualsivoglia fisico, quest'ultimo non credo potrebbe desumere da alcunché se il filmato gli sia stato mostrato dall'inizio alla fine, ovvero viceversa, ed il vero significato, le conseguenze, del secondo principio della termodinamica non sono quelli codificati nei libri di testo delle scuole medie superiori italiani, ma oggetto di attive ricerche ed accesi dibattitti a tutt'oggi.

Einstein stesso circa un secolo dopo condannò l'ostinazione dei fisici a voler distinguere tra passato e futuro, in quanto le leggi non contemplano l'irreversibilità dei processi, e confermò l'impostazione millenaria di Parmenide che il tempo sia illusorio: il problema dell'irreversibilità fu in seguito riaffrontato da Einstein quando Kurt Godel gli propose un modello cosmologico in cui era possibile andare dal futuro verso il passato utilizzando la curvatura dello spazio tempo.

Sempre ad Einstein si deve il cd. paradosso EPR (Einstein, Podolski e Rosen) del 1935, secondo cui particelle lontane tra loro mostrano la tendenza a correlare la loro risposta agli stimoli esterni. Il paradosso ricevette trent'anni dopo validazione teorica da J.S. Bell che dimostrò che la teoria dei quanti è una teoria non locale e come tale non può descrivere compiutamente ciò che è limitato in una regione di spazio, ma può descrivere anche incompletamente relazioni tra eventi molto distanti. Vent'anni dopo il fisico francese Aspect fornì a sua volta una validazione sperimentale alle equazioni di Bell, dimostrando che il principio di località non è rispettato in natura, che data una qualunque particella, le sue proprietà sono intercorrelate con quelle di ogni altra particella con cui ha interagito dal momento della sua creazione. Se fosse valida la teoria del Big Bang, tutte le particelle dell'universo avrebbero allora memoria della primigenia interazione, e la utilizzerebbero per rispondere in modo correlato alle sollecitazioni esterne, indipendentemente dalla loro posizione nello spazio, ma soprattutto questa "non localizzazione" quantistica può essere utilizzata per teorizzare cd. "viaggi nel tempo" (non da me, ovviamente) in aperto contrasto con uno scorrere unidirezionale del tempo.

Ma ancora prima di Loschmidt ed Einstein, esiste e persiste l'opinione affine ma di stampo "deterministico" che la percezione umana di una direzione privilegiata del tempo sia creata dalla mente stessa, e si è radicata a partire da Galileo a Newton e per tutto il corso del positivismo.

Alle voci "dissonanti" rispetto all'impostazione vista appartiene Prigogine (premio Nobel per la Chimica trent'anni fa), che si pose la domanda: "Esiste il tempo se non c'è nessuno a percepirlo?"
Sembra che la sorprendente e per certi versi paradossale risposta possa essere: "il tempo non è che una proprietà della natura e l'evoluzione porterà alla comparsa di esseri capaci di avere coscienza del tempo".

Ilya Prigogine, con la propria teoria sulle strutture dissipative che operano lontano dall'equilibrio, afferma che i processi irreversibili non tendono verso il disordine, ma verso una maggiore complessità: le fluttuazioni tendono non a decadere, a scomparire, ma come per l'azione di positive feedback ad amplificarsi (secondo equazioni non lineari con molte soluzioni). Questo fa si che da una struttura complessa se ne (deve) origina(re) una ancora più complessa, che alla vita segua sempre la vita, tutto si evolve nel tempo irreversibilmente, generando l'ordine dal caos. Il contrario di quello che afferma il secondo principio della termodinamica, e il nostro amico Boltzmann, ma ancora qui l'avverbio "irreversibilmente" comporta un'ordinamento preferenziale del tempo, e (al contrario di prima) una impredicibilità del futuro di tutti i processi fisici reali. Portando alle estreme conseguenze la teoria di Prigogine, il cd. Big Bang non viene da una singolarità gravitazionale ma da una cd. "instabilità di fase", che il tempo dunque non è nato con esso e che pre-esiste all'universo, e l'universo, il sistema più complesso che esiste è assolutamente impredittibile nella sua evoluzione temporale. La risposta di Prigogine sembra postulare dunque l'esistenza duale di un tempo interno e di un tempo esterno oggettivo ma la distinzione è difficile: un tempo esterno, correlabile all'ambiente esterno con cui interagiamo, si può considerare interno all'ambiente stesso, se quest'ultimo a sua volta è parte di un sistema più grande. Esiste un tempo assoluto, più esterno di tutto?

Per tornare al secondo principio della termodinamica ed a Boltzmann, se non ricordo male (e ormai sicuramente è così) a fine 2000 il fisico sloveno Danilo Zavrtanik ha mostrato i risultati degli esperimenti fatti dal CERN sulla non invarianza del "time reversal", volti ad indagare l'esistenza e la conservazione (nelle trasformazioni) della cd. T-simmetria. Questa notizia a me attesta come centotrenta anni dopo si sperimenti circa la "verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo", della sua simmetria o meno, come ai tempi di Boltzmann e Loschmidt.

L'idea espressa da Loschmidt, l'inversione temporale, viene indagata, realizzata, oggi con diversi metodi: in particolare si mostra come un sistema di particelle decaduto da uno stato ordinato può esser fatto tornare in tale stato invertendo le quantità di moto delle particelle, o meglio, invertendo le direzioni di moto, o qualche altro grado di libertà, delle particelle costituenti. L'inversione temporale ha mostrato come l'avverbio "irreversibilmente" (la "freccia del tempo") formulato da Boltzmann non possa essere corretto, se l'ordine iniziale può essere recuperato perché appunto non definitivamente perduto ma solo nascosto, offuscato.

Applicazioni tecnologiche degli esperimenti di inversione temporale le si possono trovare nelle tecniche avanzate di indagine per risonanza magnetico-nucleare (magic sandwich echo relaxation). Se non ricordo male (e può essere, mi sto costringendo ad una risposta di difficile esecuzione per me) in un esperimento di magic sandwich (descritto per la prima volta al MIT da Waugh, Rhim e Pines) un cristallo di fluoruro di calcio viene immerso in un campo magnetico costante. Al cristallo viene applicato un impulso a radiofrequenza che fa ruotare di 90° gli assi di spin dei nuclei degli atomi di fluoro ("a 90°"): il cristallo allora emette un cd. segnale di decadimento per induzione libera.
Svanito questo segnale, si applica un altro segnale "a 90°", ed immediatamente dopo un lungo treno di impulsi ciascuno in grado di far ruotare di 180° gli assi di spin dei nuclei di fluoro, quindi si applica nuovamente un impulso "a 90°". Questo è il sandwich, le fette di pane sono gli impulsi "a 90°", il ripieno è la serie di impulsi "a 180°".

Il segnale di decadimento per induzione libera è così chiamato perché la precessione libera sincronizzata degli spin induce un segnale elettromagnetico che decade. E' un impulso elettromagnetico oscillante dovuto al fatto che gli spin dei nuclei precederanno all'unisono nel nuovo piano del campo magnetico costante, somigliando appunto ad un magnete in rotazione (che "come noto" emette un segnale EM oscillante): gli assi di spin si trovano in quel momento tra loro in uno stato di ordine, ordine che però nel tempo va a decadere (per varie ragioni), e questa perdita di ordine è evidenziata dal decadere del segnale di induzione libera emesso.

Ciò che è particolare del "magic sandwich" è che, nei fenomeni di eco di spin, ad ogni impulso a cui è sottoposto il campione corrisponde un'eco: in questo caso in presenza di impulsi multipli si ha una sola eco. Non solo, l'eco del "magic sandwich" può essere evidenziato in campioni che normalmente non produrrebbero alcuna eco: senza l'applicazione della peculiare serie di impulsi lo stato di ordine primitivo del campione non potrebbe mai essere ripristinato.
Non esiste ancora un modello descrittivo "semplice", ma nemmeno "comune", per illustrare cosa avvenga durante l'effetto di "magic sandwich": secondo la descrizione matematica più accettata si può solo dire che il "magic sandwich" fa cambiare segno all'equazione di moto dei nuclei di fluoro, cioè consente quell'inversione delle quantità di moto che Josef Loschmidt descrisse a Ludwig Boltzmann.

Tuttavia questo contrasta con l'evidenza palmare che noi tutti invecchiamo, che la nostra vita procede solo "avanti" nel tempo, e mai indietro, che una direzione privilegiata esiste eccome (anche il concetto scientifico di evoluzione ne è pregno). Perché, se l'inversione temporale è possibile?

La fisica, che è la disciplina più sofisticata che abbiamo per descrivere la realtà oggettiva, non è capace di spiegare la direzione ordinaria del tempo, dal passato verso il futuro. Tant'è che la teoria cosmologica maggiormente accettata, quella del Big Bang di cui sopra, afferma che il tempo e lo spazio potrebbero aver avuto inizio ed esistenza con l'esplosione della singolarità gravitazionale in cui era concentrata tutta la massa e l'energia. E "prima"? Dove "viveva" la nostra "particella di sodio"? Aveva ragione Prigogine, che non c'era nessuna "particella di sodio", ma al più "l'uscita da una bottiglia"?

Perciò ancora prima di poter affermare che il tempo abbia una direzione privilegiata, e quale sia, che "time flies like an arrow", o che "alle mosche del tempo piaccia la freccia" (lic. poet.), ci si deve chiedere, ci si è chiesto, ci si chiede se il fluire del tempo sia illusorio (secondo Einstein), o reale (vedi Prigogine), e che cosa sia l'entità tempo. Richard Feynman, proprio quello che ha "dimostrato" che nell'ottica la figura di diffrazione si forma dopo che ogni singolo fotone ha percorso contemporaneamente in un intervallo di tempo limitato tutte le traiettorie possibili ed immaginabili per andare da A a B (passando per Andromeda, giù per la fossa delle Marianne e l'anima nera dell'uomo), soleva rispondere: "What is time? Don't even ask me. It's just too hard to think about it".

Di questa antica discussione le prime notizie risalgono alla scuola del "divenire reale" di Eraclito di Efeso, scuola che passa attraverso la rilettura fattane da Pitagora ed Aristotele, ed andando fino a Newton, Kant e Bertrand Russell, considera il tempo come un fatto reale, fisico, che la mente percepisce ed elabora alla pari di tutti gli altri stimoli esterni (con argomentazioni variamente complesse e differenziate). Per dirla a mo' di battuta con un aforisma di un grande scienziato, "Time is the supreme Law of nature" (Arthur Stanley Eddington, lo stesso della frase "Time flies like an arrow").

L'altra scuola di pensiero, alternativa a questa prima, fu iniziata ancorché in Italia sempre in ambito greco da Parmenide di Elea con il concetto di "divenire illusorio", ed appartiene forse più al versante della "filosofia della natura" (come la fisica si chiamava almeno fino al I-II sec. a.c.): notoriamente fu ripresa da Plotino prima, S. Agostino poi, ed in tempi più vicini da Franz Brentano e dal suo allievo, tanto caro a Paolo Caviglia, Husserl, fino a giungere, come detto sopra, per molti e diversi rivoli fino a Bergson ed Einstein. Tale "scuola" afferma in buona sostanza che il tempo sarebbe privo di oggettività fisica, e come tale altro non sarebbe che una "idealizzazione" di contenuti mentali.

Bergson in particolare, affermando che il tempo effettivamente vissuto dalla e nella nostra coscienza è un amalgama di stati psichici in evoluzione e senza legami reciproci di causa-effetto, afferma che la dimensione "qualitativa" in cui questi eventi psichici si sviluppano non ha legami con la dimensione "quantitativa" in cui accadono gli eventi fisici: in quest'unico senso il filosofo Bergson è daccordo con il fisico Einstein nell'affermare che il tempo è fuori dalla fisica.

In mezzo peraltro c'è una terza concezione, sempre di natura prettamente filosofica, portata avanti da un allievo dello stesso Husserl, quel Paul Ricoeur, da poco scomparso, il quale afferma che ambedue le scuole contengono una parte di verità, e che nessuna può "occultare" l'altra. Semplificando l'opera del filosofo francese, accettando in ipotesi l'esistenza di uno spazio e tempo oggettivi, non è detto che questi corrispondano esattamente alla rappresentazione normale che se ne ha (o che la fisica ci da).

Peraltro la concezione di Ricoeur si è prestata a speculazioni di carattere prettamente scientifico (intendendo le cd. scienze esatte, la matematica in particolare): Metod Saniga (se non erro, credo sia un astrofisico slovacco) a partire dalla metà degli anni '90, anche con il patrocinio della NATO e del nostro Istituto di Fisica Cosmica del CNR, ha iniziato una ricerca interdisciplinare che ha visto coinvolti tanti nomi dell'accademia privata e pubblica, dall'università di Harvard, e University of Arizona ed Iowa State, all'Astrophysikalische Institute di Potsdam.
Utilizzando i metodi della geometria proiettiva, ha presentato (forse ci dovrebbe essere anche un libro della Springer, "Studies on the Structure of Time") gli sviluppi di un modello matematico per descrivere la percezione del tempo nei cd. "stati alterati della coscienza".
Più precisamente, dopo aver dedicato alcuni anni allo studio della letteratura sugli stati alterati della coscienza, operando poi una classificazione di questi in base agli aspetti similari presenti in essi riguardo la percezione dello spazio-tempo, Saniga ha portato a termine almeno (non ne seguo gli sviluppi dal 2002) la prima fase della costruzione di una metodologia scientifica, i suoi presupposti ed una prima applicazione ai dati sperimentali da lui raccolti, che pur senza tentare di risolvere il "mistero del tempo" porta comunque un contributo personale ed originale (anche se l'originalità è un plagio non scoperto, come diceva Oscar Wilde) "relativo a tanto dibattere".

Una preghiera a tutti: siate buoni.

baby rattle ha scritto:Tralasciando per ora il filmato non è difficile seguire in slow motion i singoli arrivi, cominciando dai primi arrivi di ciascuno strumento, regolati dalla distanza dal microfono, per passare poi alle prime riflessioni di ciascuno, seconde, terze etc. non perdendo di vista il loro sovrapporsi per ciascun istante considerato.
La velocità di propagazione del suono e la dimensione massima dell'ambiente danno una indicazione di massima di quante volte lo stesso segnale ripassa per lo stesso punto.

Si, ma la descrizione che se ne si fa, come sequenza di istante dopo istante, è a prima vista apodittica: perché si privilegia una descrizione in tali termini?

baby rattle ha scritto:Il full moss non funziona secondo il principio della stereofonia ma secondo quello della sequenza multipla discriminabile e congruibile ed è di fatto il superamento della stereofonia a partire da segnali codific6ato col metodo stereofonico.

Restiamo alla base sottesa al cd. "full moss", per venir incontro a me.

baby rattle ha scritto:Frequenza e fase non sono le sole informazioni presenti, lo sono secondo la descrizione mediante risposta in frequenza e terorema di fourier, l'ordine sequenziale aggiunge informazioni enormemente superiori perchè sottoposto a verifica di congruenza dal sistema elaborazione/costruzione di realtà spazio temporale costituito dal cervello.

Perché l'ordine sequenziale aggiunge informazioni?

baby rattle ha scritto:Stiamo cercando di dirlo, se ogni volta si ruzzola in basso sarà difficile arrivare in cima.

Vabbe', allora me ne sto giù alla base della ruzzolata.

baby rattle ha scritto:Io ho affermato che il suono musicale è una storia spazio temporale e che questa definizione è la sola corretta in riforma di quella che stabilisce che il suono è un aggregato di armonici; che il suono non può essere descritto nel dominio della frequenza a causa della non invarianza del sistema.

Che il sistema sia non invariante quasi lo capisco.
Che il suono musicale percepito dall'uomo sia, poiché il sistema è non invariante, descrivibile come sequenza ordinata di istanti di tempo lo capisco molto meno.
Ancora meno capirei (al momento) un'ipotesi ex abrupto del tipo: "facciamo conto che un'entità chiamata suono musicale sia una storia spazio-temporale, una sequenza ordinata di istanti di tempo. Se è così, allora...".

baby rattle ha scritto:La dimostrazione, già data anche in questo forum, sta nella impossibilità di descrivere la differenza tra uno e più strumenti che emettono lo stesso contenuto armonico.

Questo è quello che fa (già) la scienza: ci dice che due forme d'onda tra loro molto diverse solo per relazioni di fase tra le medesime armoniche in esse presenti sono indistinguibili all'orecchio, e che viceversa due forme d'onda tra loro molto simili, ma con un contenuto di armoniche diverso, vengano percepite diverse all'orecchio. Va bene. Da dove arriva il tempo? Perché il tempo e non i gravitoni (è una battuta leggera, per carità!)?

baby rattle ha scritto:Che il suono per il motivo sudetto vada descritto e rappresentato unicamente nel dominio del tempo è cosa strettamente e matematicamente conseguente non esistendo più operatori matematici per passare da un dominio all'altro.

Chiedo scusa ma il mio problema è qui: io non vedo come sia strettamente e matematicamente conseguente a... che cosa?
E di conseguenza nemmeno so se mi trovo d'accordo o devo rispondere alla vostra successiva richiesta:

baby rattle ha scritto:Chiedo di controverso, la confutazione che il suono sia una storia spazio temporale, definizione non riducibile ed omnicomprensiva, ovvero la dimostrazione/ dubbio che il suono sia rappresentabile attraverso il contenuto armonico/risposta in frequenza.

Vale sempre la domanda di Prigogine: se non ci fosse nessuno a percepirlo, esisterebbe il tempo?
Per ora (nella mia mente) c'è qualcuno che percepisce il tempo. E poi?
--- --- ---
Ciao, Luca

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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda baby rattle » 3 feb 2009, 14:01

Luc1gnol0 ha scritto:
baby rattle ha scritto:
Luc1gnol0 ha scritto:"verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo" (concetto QUANTO MAI DIBATTUTO in fisica, modernamente almeno sin dai tempi di Boltzmann e, con riferimento ai greci, ancor prima)?

Puoi portare materiale relativo a tanto dibattere?

Si narra che nel 1872 Ludwig Boltzmann, padre fondatore (non unico) della termodinamica (ed infatti il concetto di "freccia del tempo", time flies like an arrow, si fa risalire storicamente proprio all'emersione della termodinamica come ambito speculativo), tenne una conferenza per spiegare ai suoi colleghi come l'entropia dei sistemi isolati aumenti irreversibilmente nel tempo.

Nelle udire queste affermazioni Josef Loschmidt, fisico e chimico, si alzò pubblicamente a protestare (la cosa è curiosa perché Loschmidt era collega di università e buon amico dello stesso Boltzmann). Loschmidt sosteneva che tutte le leggi che governano il moto delle particelle sono simmetriche rispetto al tempo, quindi qualunque sistema, che in ipotesi fosse decaduto, lo si potesse far tornare in uno stato ordinato semplicemente invertendo le quantità di moto di ogni singola particella. Secondo l'agiografia ufficiale (in senso lato), si narra che Boltzmann, spazientito, replicasse: bravo, e provaci pure tu ad invertire le quantità di moto!

Lo scontro tra i due amici mostra in realtà quello scontro accademico (il famoso "dibattere") che illustra la natura paradossale del secondo principio della termodinamica (tutti i sistemi tendono verso la massima entropia): l'obiezione di Loschmidt è irrefutabile, tant'è che, se si mostrasse (se si potesse mostrare) il filmato del moto di un gruppo di particelle ad un qualsivoglia fisico, quest'ultimo non credo potrebbe desumere da alcunché se il filmato gli sia stato mostrato dall'inizio alla fine, ovvero viceversa, ed il vero significato, le conseguenze, del secondo principio della termodinamica non sono quelli codificati nei libri di testo delle scuole medie superiori italiani, ma oggetto di attive ricerche ed accesi dibattitti a tutt'oggi.

Einstein stesso circa un secolo dopo condannò l'ostinazione dei fisici a voler distinguere tra passato e futuro, in quanto le leggi non contemplano l'irreversibilità dei processi, e confermò l'impostazione millenaria di Parmenide che il tempo sia illusorio: il problema dell'irreversibilità fu in seguito riaffrontato da Einstein quando Kurt Godel gli propose un modello cosmologico in cui era possibile andare dal futuro verso il passato utilizzando la curvatura dello spazio tempo.

Sempre ad Einstein si deve il cd. paradosso EPR (Einstein, Podolski e Rosen) del 1935, secondo cui particelle lontane tra loro mostrano la tendenza a correlare la loro risposta agli stimoli esterni. Il paradosso ricevette trent'anni dopo validazione teorica da J.S. Bell che dimostrò che la teoria dei quanti è una teoria non locale e come tale non può descrivere compiutamente ciò che è limitato in una regione di spazio, ma può descrivere anche incompletamente relazioni tra eventi molto distanti. Vent'anni dopo il fisico francese Aspect fornì a sua volta una validazione sperimentale alle equazioni di Bell, dimostrando che il principio di località non è rispettato in natura, che data una qualunque particella, le sue proprietà sono intercorrelate con quelle di ogni altra particella con cui ha interagito dal momento della sua creazione. Se fosse valida la teoria del Big Bang, tutte le particelle dell'universo avrebbero allora memoria della primigenia interazione, e la utilizzerebbero per rispondere in modo correlato alle sollecitazioni esterne, indipendentemente dalla loro posizione nello spazio, ma soprattutto questa "non localizzazione" quantistica può essere utilizzata per teorizzare cd. "viaggi nel tempo" (non da me, ovviamente) in aperto contrasto con uno scorrere unidirezionale del tempo.

Ma ancora prima di Loschmidt ed Einstein, esiste e persiste l'opinione affine ma di stampo "deterministico" che la percezione umana di una direzione privilegiata del tempo sia creata dalla mente stessa, e si è radicata a partire da Galileo a Newton e per tutto il corso del positivismo.

Alle voci "dissonanti" rispetto all'impostazione vista appartiene Prigogine (premio Nobel per la Chimica trent'anni fa), che si pose la domanda: "Esiste il tempo se non c'è nessuno a percepirlo?"
Sembra che la sorprendente e per certi versi paradossale risposta possa essere: "il tempo non è che una proprietà della natura e l'evoluzione porterà alla comparsa di esseri capaci di avere coscienza del tempo".

Ilya Prigogine, con la propria teoria sulle strutture dissipative che operano lontano dall'equilibrio, afferma che i processi irreversibili non tendono verso il disordine, ma verso una maggiore complessità: le fluttuazioni tendono non a decadere, a scomparire, ma come per l'azione di positive feedback ad amplificarsi (secondo equazioni non lineari con molte soluzioni). Questo fa si che da una struttura complessa se ne (deve) origina(re) una ancora più complessa, che alla vita segua sempre la vita, tutto si evolve nel tempo irreversibilmente, generando l'ordine dal caos. Il contrario di quello che afferma il secondo principio della termodinamica, e il nostro amico Boltzmann, ma ancora qui l'avverbio "irreversibilmente" comporta un'ordinamento preferenziale del tempo, e (al contrario di prima) una impredicibilità del futuro di tutti i processi fisici reali. Portando alle estreme conseguenze la teoria di Prigogine, il cd. Big Bang non viene da una singolarità gravitazionale ma da una cd. "instabilità di fase", che il tempo dunque non è nato con esso e che pre-esiste all'universo, e l'universo, il sistema più complesso che esiste è assolutamente impredittibile nella sua evoluzione temporale. La risposta di Prigogine sembra postulare dunque l'esistenza duale di un tempo interno e di un tempo esterno oggettivo ma la distinzione è difficile: un tempo esterno, correlabile all'ambiente esterno con cui interagiamo, si può considerare interno all'ambiente stesso, se quest'ultimo a sua volta è parte di un sistema più grande. Esiste un tempo assoluto, più esterno di tutto?

Per tornare al secondo principio della termodinamica ed a Boltzmann, se non ricordo male (e ormai sicuramente è così) a fine 2000 il fisico sloveno Danilo Zavrtanik ha mostrato i risultati degli esperimenti fatti dal CERN sulla non invarianza del "time reversal", volti ad indagare l'esistenza e la conservazione (nelle trasformazioni) della cd. T-simmetria. Questa notizia a me attesta come centotrenta anni dopo si sperimenti circa la "verifica dello scorrimento unidirezionale del tempo", della sua simmetria o meno, come ai tempi di Boltzmann e Loschmidt.

L'idea espressa da Loschmidt, l'inversione temporale, viene indagata, realizzata, oggi con diversi metodi: in particolare si mostra come un sistema di particelle decaduto da uno stato ordinato può esser fatto tornare in tale stato invertendo le quantità di moto delle particelle, o meglio, invertendo le direzioni di moto, o qualche altro grado di libertà, delle particelle costituenti. L'inversione temporale ha mostrato come l'avverbio "irreversibilmente" (la "freccia del tempo") formulato da Boltzmann non possa essere corretto, se l'ordine iniziale può essere recuperato perché appunto non definitivamente perduto ma solo nascosto, offuscato.

Applicazioni tecnologiche degli esperimenti di inversione temporale le si possono trovare nelle tecniche avanzate di indagine per risonanza magnetico-nucleare (magic sandwich echo relaxation). Se non ricordo male (e può essere, mi sto costringendo ad una risposta di difficile esecuzione per me) in un esperimento di magic sandwich (descritto per la prima volta al MIT da Waugh, Rhim e Pines) un cristallo di fluoruro di calcio viene immerso in un campo magnetico costante. Al cristallo viene applicato un impulso a radiofrequenza che fa ruotare di 90° gli assi di spin dei nuclei degli atomi di fluoro ("a 90°"): il cristallo allora emette un cd. segnale di decadimento per induzione libera.
Svanito questo segnale, si applica un altro segnale "a 90°", ed immediatamente dopo un lungo treno di impulsi ciascuno in grado di far ruotare di 180° gli assi di spin dei nuclei di fluoro, quindi si applica nuovamente un impulso "a 90°". Questo è il sandwich, le fette di pane sono gli impulsi "a 90°", il ripieno è la serie di impulsi "a 180°".

Il segnale di decadimento per induzione libera è così chiamato perché la precessione libera sincronizzata degli spin induce un segnale elettromagnetico che decade. E' un impulso elettromagnetico oscillante dovuto al fatto che gli spin dei nuclei precederanno all'unisono nel nuovo piano del campo magnetico costante, somigliando appunto ad un magnete in rotazione (che "come noto" emette un segnale EM oscillante): gli assi di spin si trovano in quel momento tra loro in uno stato di ordine, ordine che però nel tempo va a decadere (per varie ragioni), e questa perdita di ordine è evidenziata dal decadere del segnale di induzione libera emesso.

Ciò che è particolare del "magic sandwich" è che, nei fenomeni di eco di spin, ad ogni impulso a cui è sottoposto il campione corrisponde un'eco: in questo caso in presenza di impulsi multipli si ha una sola eco. Non solo, l'eco del "magic sandwich" può essere evidenziato in campioni che normalmente non produrrebbero alcuna eco: senza l'applicazione della peculiare serie di impulsi lo stato di ordine primitivo del campione non potrebbe mai essere ripristinato.
Non esiste ancora un modello descrittivo "semplice", ma nemmeno "comune", per illustrare cosa avvenga durante l'effetto di "magic sandwich": secondo la descrizione matematica più accettata si può solo dire che il "magic sandwich" fa cambiare segno all'equazione di moto dei nuclei di fluoro, cioè consente quell'inversione delle quantità di moto che Josef Loschmidt descrisse a Ludwig Boltzmann.

Tuttavia questo contrasta con l'evidenza palmare che noi tutti invecchiamo, che la nostra vita procede solo "avanti" nel tempo, e mai indietro, che una direzione privilegiata esiste eccome (anche il concetto scientifico di evoluzione ne è pregno). Perché, se l'inversione temporale è possibile?

La fisica, che è la disciplina più sofisticata che abbiamo per descrivere la realtà oggettiva, non è capace di spiegare la direzione ordinaria del tempo, dal passato verso il futuro. Tant'è che la teoria cosmologica maggiormente accettata, quella del Big Bang di cui sopra, afferma che il tempo e lo spazio potrebbero aver avuto inizio ed esistenza con l'esplosione della singolarità gravitazionale in cui era concentrata tutta la massa e l'energia. E "prima"? Dove "viveva" la nostra "particella di sodio"? Aveva ragione Prigogine, che non c'era nessuna "particella di sodio", ma al più "l'uscita da una bottiglia"?

Perciò ancora prima di poter affermare che il tempo abbia una direzione privilegiata, e quale sia, che "time flies like an arrow", o che "alle mosche del tempo piaccia la freccia" (lic. poet.), ci si deve chiedere, ci si è chiesto, ci si chiede se il fluire del tempo sia illusorio (secondo Einstein), o reale (vedi Prigogine), e che cosa sia l'entità tempo. Richard Feynman, proprio quello che ha "dimostrato" che nell'ottica la figura di diffrazione si forma dopo che ogni singolo fotone ha percorso contemporaneamente in un intervallo di tempo limitato tutte le traiettorie possibili ed immaginabili per andare da A a B (passando per Andromeda, giù per la fossa delle Marianne e l'anima nera dell'uomo), soleva rispondere: "What is time? Don't even ask me. It's just too hard to think about it".

Di questa antica discussione le prime notizie risalgono alla scuola del "divenire reale" di Eraclito di Efeso, scuola che passa attraverso la rilettura fattane da Pitagora ed Aristotele, ed andando fino a Newton, Kant e Bertrand Russell, considera il tempo come un fatto reale, fisico, che la mente percepisce ed elabora alla pari di tutti gli altri stimoli esterni (con argomentazioni variamente complesse e differenziate). Per dirla a mo' di battuta con un aforisma di un grande scienziato, "Time is the supreme Law of nature" (Arthur Stanley Eddington, lo stesso della frase "Time flies like an arrow").

L'altra scuola di pensiero, alternativa a questa prima, fu iniziata ancorché in Italia sempre in ambito greco da Parmenide di Elea con il concetto di "divenire illusorio", ed appartiene forse più al versante della "filosofia della natura" (come la fisica si chiamava almeno fino al I-II sec. a.c.): notoriamente fu ripresa da Plotino prima, S. Agostino poi, ed in tempi più vicini da Franz Brentano e dal suo allievo, tanto caro a Paolo Caviglia, Husserl, fino a giungere, come detto sopra, per molti e diversi rivoli fino a Bergson ed Einstein. Tale "scuola" afferma in buona sostanza che il tempo sarebbe privo di oggettività fisica, e come tale altro non sarebbe che una "idealizzazione" di contenuti mentali.

Bergson in particolare, affermando che il tempo effettivamente vissuto dalla e nella nostra coscienza è un amalgama di stati psichici in evoluzione e senza legami reciproci di causa-effetto, afferma che la dimensione "qualitativa" in cui questi eventi psichici si sviluppano non ha legami con la dimensione "quantitativa" in cui accadono gli eventi fisici: in quest'unico senso il filosofo Bergson è daccordo con il fisico Einstein nell'affermare che il tempo è fuori dalla fisica.

In mezzo peraltro c'è una terza concezione, sempre di natura prettamente filosofica, portata avanti da un allievo dello stesso Husserl, quel Paul Ricoeur, da poco scomparso, il quale afferma che ambedue le scuole contengono una parte di verità, e che nessuna può "occultare" l'altra. Semplificando l'opera del filosofo francese, accettando in ipotesi l'esistenza di uno spazio e tempo oggettivi, non è detto che questi corrispondano esattamente alla rappresentazione normale che se ne ha (o che la fisica ci da).

Peraltro la concezione di Ricoeur si è prestata a speculazioni di carattere prettamente scientifico (intendendo le cd. scienze esatte, la matematica in particolare): Metod Saniga (se non erro, credo sia un astrofisico slovacco) a partire dalla metà degli anni '90, anche con il patrocinio della NATO e del nostro Istituto di Fisica Cosmica del CNR, ha iniziato una ricerca interdisciplinare che ha visto coinvolti tanti nomi dell'accademia privata e pubblica, dall'università di Harvard, e University of Arizona ed Iowa State, all'Astrophysikalische Institute di Potsdam.
Utilizzando i metodi della geometria proiettiva, ha presentato (forse ci dovrebbe essere anche un libro della Springer, "Studies on the Structure of Time") gli sviluppi di un modello matematico per descrivere la percezione del tempo nei cd. "stati alterati della coscienza".
Più precisamente, dopo aver dedicato alcuni anni allo studio della letteratura sugli stati alterati della coscienza, operando poi una classificazione di questi in base agli aspetti similari presenti in essi riguardo la percezione dello spazio-tempo, Saniga ha portato a termine almeno (non ne seguo gli sviluppi dal 2002) la prima fase della costruzione di una metodologia scientifica, i suoi presupposti ed una prima applicazione ai dati sperimentali da lui raccolti, che pur senza tentare di risolvere il "mistero del tempo" porta comunque un contributo personale ed originale (anche se l'originalità è un plagio non scoperto, come diceva Oscar Wilde) "relativo a tanto dibattere".

Una preghiera a tutti: siate buoni.

baby rattle ha scritto:Tralasciando per ora il filmato non è difficile seguire in slow motion i singoli arrivi, cominciando dai primi arrivi di ciascuno strumento, regolati dalla distanza dal microfono, per passare poi alle prime riflessioni di ciascuno, seconde, terze etc. non perdendo di vista il loro sovrapporsi per ciascun istante considerato.
La velocità di propagazione del suono e la dimensione massima dell'ambiente danno una indicazione di massima di quante volte lo stesso segnale ripassa per lo stesso punto.

Si, ma la descrizione che se ne si fa, come sequenza di istante dopo istante, è a prima vista apodittica: perché si privilegia una descrizione in tali termini?

baby rattle ha scritto:Il full moss non funziona secondo il principio della stereofonia ma secondo quello della sequenza multipla discriminabile e congruibile ed è di fatto il superamento della stereofonia a partire da segnali codific6ato col metodo stereofonico.

Restiamo alla base sottesa al cd. "full moss", per venir incontro a me.

baby rattle ha scritto:Frequenza e fase non sono le sole informazioni presenti, lo sono secondo la descrizione mediante risposta in frequenza e terorema di fourier, l'ordine sequenziale aggiunge informazioni enormemente superiori perchè sottoposto a verifica di congruenza dal sistema elaborazione/costruzione di realtà spazio temporale costituito dal cervello.

Perché l'ordine sequenziale aggiunge informazioni?

baby rattle ha scritto:Stiamo cercando di dirlo, se ogni volta si ruzzola in basso sarà difficile arrivare in cima.

Vabbe', allora me ne sto giù alla base della ruzzolata.

baby rattle ha scritto:Io ho affermato che il suono musicale è una storia spazio temporale e che questa definizione è la sola corretta in riforma di quella che stabilisce che il suono è un aggregato di armonici; che il suono non può essere descritto nel dominio della frequenza a causa della non invarianza del sistema.

Che il sistema sia non invariante quasi lo capisco.
Che il suono musicale percepito dall'uomo sia, poiché il sistema è non invariante, descrivibile come sequenza ordinata di istanti di tempo lo capisco molto meno.
Ancora meno capirei (al momento) un'ipotesi ex abrupto del tipo: "facciamo conto che un'entità chiamata suono musicale sia una storia spazio-temporale, una sequenza ordinata di istanti di tempo. Se è così, allora...".

baby rattle ha scritto:La dimostrazione, già data anche in questo forum, sta nella impossibilità di descrivere la differenza tra uno e più strumenti che emettono lo stesso contenuto armonico.

Questo è quello che fa (già) la scienza: ci dice che due forme d'onda tra loro molto diverse solo per relazioni di fase tra le medesime armoniche in esse presenti sono indistinguibili all'orecchio, e che viceversa due forme d'onda tra loro molto simili, ma con un contenuto di armoniche diverso, vengano percepite diverse all'orecchio. Va bene. Da dove arriva il tempo? Perché il tempo e non i gravitoni (è una battuta leggera, per carità!)?

baby rattle ha scritto:Che il suono per il motivo sudetto vada descritto e rappresentato unicamente nel dominio del tempo è cosa strettamente e matematicamente conseguente non esistendo più operatori matematici per passare da un dominio all'altro.

Chiedo scusa ma il mio problema è qui: io non vedo come sia strettamente e matematicamente conseguente a... che cosa?
E di conseguenza nemmeno so se mi trovo d'accordo o devo rispondere alla vostra successiva richiesta:

baby rattle ha scritto:Chiedo di controverso, la confutazione che il suono sia una storia spazio temporale, definizione non riducibile ed omnicomprensiva, ovvero la dimostrazione/ dubbio che il suono sia rappresentabile attraverso il contenuto armonico/risposta in frequenza.

Vale sempre la domanda di Prigogine: se non ci fosse nessuno a percepirlo, esisterebbe il tempo?
Per ora (nella mia mente) c'è qualcuno che percepisce il tempo. E poi?





Una così grande erudizione ed una così grande ostinazione?

Nessuna nota sull'arbitrarietà delle affermazioni sopra riportate da chiunque le abbia formulate?

Mi sembra che la conoscenza sciorinata serva solo a blindare la mosca dentro la bottiglia di vetro saldando il tappo con una valanga di cose poco attinenti ed i soliti dubbi non esposti a scioglimento, come dire, puoi cantare quanto vuoi tanto non mi convinci.

Il fatto gli è che c'è poco da cantare, il mascheramento del suono portato in dote dall'ascoltatore rende il sistema non invariante.

Che non si sappia trarre le conseguenze sul piano fisico-matematico circa la rappresentazione del suono nel dominio della frequenza e quello del tempo, perfettamente equivalenti e travasabili in un sistema invariante sarebbe meglio nasconderlo invece che esporlo; è un fatto INVALIDANTE ogni ulteriore argomentazione.

Che un suono definibile con aaaaaa (e relativa risposta in frequenza) sia diverso dal medesimo suono divenuto aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa ovvero di durata maggiore ma di medesima risposta in frequenza APPARE del tutto pacifico ed apodittico (termine sempre mal capito e mal usato) ovvero che non abbisogna di dimostrazione, che la scienza fisica non sappia distinguere la diversità tra i due è altrettanto apodittico (il contenuto armonico è il medesimo) la durata non interessa se il sistema è invariante perchè NON PRODUCE EFFETTO non essendoci la sensazione umana chiamata in ballo, che il suono di maggior durata temporale va a mascherare altro suono che dovesse avvicendarsi è altrettanto apodittico o ciascuno se lo dimostra da se (se ne ha voglia piazza una sirena a 120 dB e verifica da quale istante in poi sente altre cose) che tra i due suoni ci sia una differenza INFINITA ai fini della sensazione che producono è del tutto evidente per quanto detto (se un violinista rimanesse attaccato ad ogni nota il concerto finirebbe all'alba); che tutto questo che è solamente preliminare a discorsi molto più complicati non voglia essere compreso è del tutto evidente come è evidente che chi se ne sta a casa non va da nessuna parte.

E' evidente che se si ritorna a bomba nel bel mezzo di discorsi complicati e si nega l'assunto di partenza c'è qualcosa che non va nella logica di conduzione delle proprie argomentazioni, un complesso di resistività eroica e sacrificale mi viene da dire!

Uno spirito di patate si definiva una volta!

Per la fisica alcuni fenomeni non accadono ERGO essa non può descriverli, il mascheramento per la fisica NON SUSSISTE, una bilancia non si stanca a portare 50 kg, l'essere umano si, la bilancia è invariante l'essere umano e la sensazione peso è non invariante, il valore attuale della sensazione dipende dalla storia che ha preceduto l'istante considerato.

La bottiglia è chiusa...chi è dentro è dentro chi è fuori è fuori!

Su termodinamica, entropia, scorimento del tempo e biscotti della zia ci torneremo.
.

Raphaèl maì amècche zabì almi
vede signor norico nordata, il problema è questo: se io le fornisco le spiegazioni, Lei le capisce?
se comprimi l'aria ti sei pippato l'onda
ad ogni scheggiatura del suono, ad ogni spigolo dell'onda corrisponde una fitta al cervello!
LUTTO FRESCO, bebbo consegna a omi cidio
dormi tranquillo e asciutto, passato quello arriva altro lutto


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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda baby rattle » 3 feb 2009, 14:09

cancellato, era un doppione.
.

Raphaèl maì amècche zabì almi
vede signor norico nordata, il problema è questo: se io le fornisco le spiegazioni, Lei le capisce?
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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda Luc1gnol0 » 3 feb 2009, 14:12

baby rattle ha scritto:E debbo per forza rimandare a quanto già scritto, articolo e manifesto

Proviamo così (a dipanar gli equivoci).

"Il sistema di riproduzione dei Suoni Musicali non è invariante per la presenza costitutiva ed imprescindibile dell’ascoltatore."

Quale parte rende non invariante il sistema? L'ascoltatore. Bene.
Dunque per un ascoltatore nessun istante è uguale all'altro (è esatto e completo come concetto di tempovarianza?).

Perché? Quale "sotto-sistema" dell'ascoltatore è non invariante? L'orecchio? Il cervello? O è Il loro modo di interagire?

Che questo sotto-sistema sia non invariante, me lo dice quale fonte? La medicina? La fisiologia? Le neuroscienze? La psicologia? La musicologia sistematica?

Il fatto che ogni istante sia diverso dall'altro (ammesso che sia esatto il mio semplificato concetto di tempovarianza) ha a che vedere coi suoni tout court, o solo con i suoni musicali? Nell'evenienza del secondo caso, si può eventualmente (ri)abbozzare un perché (a mio beneficio, ovviamente)?

Da qui forse posso iniziare a capire, o meglio, a riassestare quel che credevo di aver capito.
--- --- ---
Ciao, Luca

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Re: L'ascoltatore: fisiologia, neuroscienze, psicoacustica, etc.

Messaggio da leggereda baby rattle » 3 feb 2009, 14:21

Luc1gnol0 ha scritto:
baby rattle ha scritto:E debbo per forza rimandare a quanto già scritto, articolo e manifesto

Proviamo così (a dipanar gli equivoci).

"Il sistema di riproduzione dei Suoni Musicali non è invariante per la presenza costitutiva ed imprescindibile dell’ascoltatore."

Quale parte rende non invariante il sistema? L'ascoltatore. Bene.

Dunque per un ascoltatore nessun istante è uguale all'altro (è esatto e completo come concetto di tempovarianza?).

Perché? Quale "sotto-sistema" dell'ascoltatore è non invariante? L'orecchio? Il cervello? O è Il loro modo di interagire?

Che questo sotto-sistema sia non invariante, me lo dice quale fonte? La medicina? La fisiologia? Le neuroscienze? La psicologia? La musicologia sistematica?

Il fatto che ogni istante sia diverso dall'altro (ammesso che sia esatto il mio semplificato concetto di tempovarianza) ha a che vedere coi suoni tout court, o solo con i suoni musicali? Nell'evenienza del secondo caso, si può eventualmente (ri)abbozzare un perché (a mio beneficio, ovviamente)?

Da qui forse posso iniziare a capire, o meglio, a riassestare quel che credevo di aver capito.





Mi sembra che non si possa andare avanti, nello spirito di questo forum chiedo l'intervento della moderazione.
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Raphaèl maì amècche zabì almi
vede signor norico nordata, il problema è questo: se io le fornisco le spiegazioni, Lei le capisce?
se comprimi l'aria ti sei pippato l'onda
ad ogni scheggiatura del suono, ad ogni spigolo dell'onda corrisponde una fitta al cervello!
LUTTO FRESCO, bebbo consegna a omi cidio
dormi tranquillo e asciutto, passato quello arriva altro lutto


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